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Taviano: “La criminalità non si combatte con le ‘auto blu'”

di Paolo Andrea TavianoMagistrato del tribunale di Cassino (Fr)
I recenti colpi inferti dalle Forze dell’Ordine alla criminalità organizzata con arresti eccellenti di boss latitanti da tempo, dimostra come lo Stato, quando vuole, sa agire per contrastare validamente la delinquenza sia essa comune che di tipo mafioso.
Ma uno degli interrogativi più inquietanti che ci dobbiamo porre in questo campo è quello se veramente esiste una volontà concreta di sconfiggere una volta per tutte la criminalità organizzata.
L’intervento di Marco Galli di alcuni giorni addietro punta l’indice su più aspetti di particolare interesse che ci riportano tutti all’interrogativo di cui sopra e che meritano una riflessione.
Si vuole veramente e seriamente fare la lotta alla mafia ed alla criminalità in genere chiedendo agli appartenenti alle Forze dell’Ordine, che a mio parere sono da esaltare quale esempio encomiabile di senso delle istituzioni e del dovere, di rischiare la propria vita concedendo loro, come fosse una elemosina, una manciata di euro di aumenti stipendiali o lesinando il pagamento di centinaia di ore di straordinario svolte a scapito delle proprie famiglie, come fosse una colpa credere nella legalità e nella giustizia?
Si vuole veramente fare la lotta alla criminalità spendendo milioni di euro per le auto blu che vengono utilizzate, ovviamente a spese dei contribuenti, anche per fini che potremmo definire con un eufemismo “ludici” (vedi il caso Marrazzo), mentre magari mancano i buoni per pagare la benzina delle macchine di Polizia e Carabinieri necessarie per fare pedinamenti che durano mesi per catturare mafiosi latitanti, o non c’è la carta per fotocopiare gli atti dei processi nei tribunali?
Veramente pensiamo di fare la lotta alla criminalità organizzata consentendo il rientro di capitali dall’estero pagando allo Stato un minimo di tasse, senza chiederci questi soldi, oltre che dal reato di evasione fiscale, quale provenienza effettiva abbiano?
Perché si osteggia il varo di normative che consentano l’utilizzo a fini sociali e istituzionali (uffici pubblici, scuole, caserme di polizia, ospedali) in breve tempo e prima che si rovinino in modo definitivo, dei beni confiscati fino ad oggi a tutte le mafie per miliardi e miliardi di euro, che consentirebbero alla collettività di riprendersi solo una piccola parte di ciò che la criminalità le ha tolto?
Credo che la migliore risposta a queste domande venga dalla storia del Prefetto Mori il c.d. “prefetto di ferro” che fu costretto a lasciare la Sicilia negli anni ’20 in quanto, dopo aver messo a ferro e fuoco l’isola ed aver quasi sconfitto mafia e banditismo, pur di metterlo in condizione di non nuocere più agli interessi dei poteri occulti che, anche all’epoca, non tolleravano che lo Stato imponesse legittimamente a tutti il rispetto delle sue leggi, venne “promosso” senatore del Regno e spedito a Roma.
E’ per questo che sono 150 anni che il Paese è obbligato a farsi erodere dal cancro della criminalità organizzata e continuando a non rispondere alle domande che ci siamo posti condanneremo l’Italia a questa agonia ancora chissà per quanto tempo.

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