Il Museo Nazionale Emigrazione Italiana ignorail fenomeno ciociaro

24 Febbraio 2010 1 Di redazione

Si ricorderà che il 23 ottobre dello scorso anno è stato inaugurato con l’avallo delle massime autorità della Repubblica, il Museo Nazionale Emigrazione Italiana -a Roma, complesso del Vittoriano- dietro iniziativa di alcuni organismi medesimi dello Stato Italiano. E’ una istituzione museale che si prefigge di ripercorrere le tappe e definire e circoscrivere, pur se solo dal 1870 circa, quella grande tragedia che fu la emigrazione degli Italiani all’estero: si rammenta che in verità una seconda Italia è disseminata nelle varie contrade della Terra.
E in questo colossale e epico movimento di umanità che ha valicato le Alpi e i mari in mezzo a indicibili sofferenze, non vi è traccia del ciociaro!! I ciociari sono restati a casa, al comodo, secondo il Ministero degli Esteri. Non solo: i termini ciociaro o Ciociaria, per non parlare di Frosinone o di Valcomino, zero totale. Ma il bello è che nemmeno il termine laziale lo incontri mai nelle varie tabelle e annunci sparsi nel percorso della mostra. Cioè, per semplificare, tutti gli italiani sono emigrati, in parte in Italia e in massima parte all’estero, perfino, a loro dire, quelli delle Isole Eolie,[è proprio così!], quelli di Conegliano, di Gubbio, i Valdostani, sono emigrati addirittura quelli del liceo Telesio di Cosenza [sic!], ma nemmeno un ciociaro, e perfino nemmeno un laziale! Cioè Charles Forte, Caterina Valente, Coluche, Jack Vettriano, Edoardo Paolozzi e mille altri grandi ciociari all’estero, sono diventati apolidi, senza radici e senza patria, per lo Stato Italiano. Eppure, si badi bene, solo per rispettare la storia, i Ciociari occupano uno dei primi posti, se non il primo assoluto fatte le dovute proporzioni, nella graduatoria degli emigrati italiani all’estero, per numero! In aggiunta sono stati proprio i ciociari i primi assoluti ad abbandonare le proprie terre e le proprie case per fame e miseria, iniziando da quelli della Valcomino, sin dalla fine del 1700 ma non a livello di episodio sporadico bensì a livello di flussi patologici e traumatici, continui e costanti. Cioè ancora non si sa o si finge di non sapere che la emigrazione, quella oggetto della iniziativa in questione, cioè per intenderci quella per fame, per miseria, per esuberanza demografica, e non quella per ragioni politiche o religiose o artistiche o altro, è nata in Ciociaria e più, precisamente, in Valcomino. La primogenitura di questo tragico ma allo stesso tempo intrepido, movimento è qui che si trova. Quindi oscurare i ciociari è stato il massimo del dileggio, sia della storia e sia della realtà.
Il Museo si occupa programmaticamente della emigrazione italiana a partire all’incirca dal 1870 e in questo movimento e in questa data, secondo gli organizzatori, i ciociari non esistono né come laziali nè come frusinati né come altro. E ancora di più, nella tabella che illustra la emigrazione precedente al 1870, cioè quella preunitaria, non solo viene omesso di informare, come detto, che gli avamposti e i pionieri della emigrazione all’estero sono stati gli zampognari e i pifferari e gli altri artisti di strada ciociari ma altresì viene omessa e ignorata un’altra pagina fondamentale della emigrazione pur se non all’estero e cioè quella interna all’Italia, quella, in particolare, che possiamo definire la ciociarizzazione di Roma nell’Ottocento, pur essendo una pagina della Storia d’Italia nota a tutto il mondo salvo agli organizzatori del Museo. Come pure nulla, nemmeno un cenno, di quel continuo e persistente esodo da Terra di Lavoro Settentrionale e cioè dalla Ciociaria meridionale, verso Terracina, verso Sezze, verso Velletri e in massima parte a Roma e nel latifondo romano, a partire dal 1770 circa. Non fatti episodici, ma flussi continui, patologici, permanenti.
E in effetti in uno dei tabelloni esposti si legge: “Dal triangolo montuoso tra Emilia, Liguria e Toscana partono mendicanti, suonatori, artisti di strada e domatori di aninali [sic!!] verso ogni paese d’Europa e sono presto imitati [sic!!] da abruzzesi, molisani, lucani e calabresi”. Cioè quelli che dunque son stati i primi a soffrire le pene della emigrazione, quelli che addirittura hanno inventato la emigrazione per fame, per miseria, per incremento demografico, i ciociari della Valcomino e del Cassinate, sono stati dimenticati, azzerati, risospinti nell’inconscio della storia nazionale. L’unico alibi, in merito, degli organizzatori e dei compilatori di queste schede è non solo la latitanza e assenza delle istituzioni statali prima e di quelle ciociare vere e proprie dopo rispetto a tali macroscopiche disfunzioni ed omissioni ma soprattutto la assenza assoluta e totale di informazioni e.di istituzioni e di materiale bibliografico sull’argomento specifico in Ciociaria.
Tra gli strumenti musicali presenti in mostra e molto decantati nei comunicati stampa, ci sono sia il mandolino napoletano e sia l’organino a manovella o a cilindro e l’organetto vero e proprio che per decenni e decenni rappresentarono – ove più ove meno- la sola fonte di sussistenza per una parte dei poveri emigranti nelle vie del mondo ma l’aspetto imperdonabile anche scientificamente e non solo dunque storicamente, è che non vi è nessuna traccia del piffero e della zampogna per non citare l’arpa celeberrima degli avventurosi viggiamesi, sia a documentazione della emigrazione preunitaria e sia di quella postunitaria. E’ una discriminazione inqualificabile o dimenticanza inaccettabile o ignoranza grave. Infatti il piffero e la zampogna non solo erano la strumentazione degli artisti girovaghi, degli emigranti ciociari, assieme appunto all’organetto diatonico e al tamburello, e lo sono ancora oggi dopo oltre due secoli in certe isole della Ciociaria, ma il destino vuole che siano proprio essi ad essere gli unici e soli strumenti musicali che hanno accompagnato gli esordi traumatici della emigrazione ciociara e di quella nazionale dai paesetti sperduti delle Mainarde quali San Biagio Saracinisco, Picinisco, Cerasuolo di Filignano, Cardito di Valleroonda, Villalatina, prima e dopo il 1870, qui completamente ignorati e oscurati a danno anche della verità storica. Per non menzionare la epopea vera e propria anche dei figli di Viggiano, in quel di Potenza, con le loro arpe. Non solo ma sono gli unici strumenti, il piffero e la zampogna, veramente noti, i soli noti in tutto il mondo e presenti in tutti i musei del pianeta perché eternati nella pittura setteottocentesca e nella letteratura per almeno centocinquantanni assieme al costume ciociaro, fatto anche questo di cui non è traccia nel Museo.
L’altro slogan è che la iniziativa ha per finalità gli studenti e un pubblico generico, come a dire, secondo gli organizzatori, che tutte le omissioni, distorsioni, mistificazioni, banalità sono ammissibili e quindi normali. Anche questo un alibi inaccettabile e troppo comodo per giustificare quanto fin qui individuato e lamentato. In merito ci si chiede chi di questo pubblico obiettivo princpale della iniziativa, è in grado di spendere sessanta Euro per il catalogo!
Con queste note si vuole sottolineare l’azzeramento culturale e storico della Ciociaria e dei ciociari -li si chiamino anche laziali meridionali o campagnuoli o frusinati o come si vuole – vale a dire la distruzione della identità ciociara.
Altrettanto preoccupante a dir poco, per noi cittadini, è la completa assenza di reattività da parte delle amministrazioni ciociare a tutti i livelli rispetto a questo tipo di realtà.
Tutto è perfino disperante. Come pure la completa e totale assenza di istituzioni e associazioni reali e fattive in Ciociaria sull’argomento emigrazione.
Michele Santulli