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Operai Fiat reintegrati a Melfi, Taviano: “L’azienda ha lanciato messaggio di cambiamento”

Nelle ultime settimane sono stati in molti a criticare l’operato della FIAT relativamente alla vicenda dei tre operai dello stabilimento di Melfi reintegrati nel posto di lavoro dal Giudice ma che l’Azienda non vuole riammettere al lavoro, pur pagando loro regolarmente lo stipendio ed avendo concesso agli operai di entrare in fabbrica al solo scopo di svolgere attività sindacale.
Le critiche si sono basate sull’assunto che la FIAT avrebbe palesemente violato un ordine del Giudice configurandosi, quindi, la condotta dell’azienda come un comportamento illegale ai limiti del penalmente rilevante.
Da un punto di vista strettamente giuridico va rilevato come l’Azienda sia tenuta ad osservare l’ordine del Giudice di rispettare il contratto di lavoro stipulato con i lavoratori e, quindi, di adempiere all’obbligazione contrattuale di pagare lo stipendio, mentre non esiste nessuna norma di legge o contrattuale che sia, che obbliga il datore di lavoro ad avvalersi della prestazione professionale del lavoratore.
Troppo spesso si dimentica che è vero che il rapporto di lavoro ha natura patrimoniale a prestazioni corrispettive e quindi riveste la forma giuridica del contratto, ma è altresì vero che il “rapporto” tra datore di lavoro e lavoratore inerente la prestazione lavorativa e la sua fruizione, presenta aspetti particolari di affidabilità nell’operato del lavoratore che, laddove vengano meno, nessuna pronuncia giudiziaria di “reintegra” può ripristinare.
Questo profilo coinvolge problemi importantissimi che ha condotto alla scelta operata dal famigerato art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in caso di licenziamento del lavoratore, tra la c.d. “tutela reale” cioè la reintegrazione del lavoratore che è vincolante per legge per le imprese con oltre 15 dipendenti, e la c.d. “tutela obbligatoria”, applicabile alle imprese con meno di 15 dipendenti, con la quale l’imprenditore può scegliere di risarcire economicamente il lavoratore licenziato ma non è tenuto a reintegrarlo come invece avviene nel caso della “tutela reale”.
Tale scelta conferma come il legislatore già a suo tempo tenne conto degli aspetti che potremmo definire “fiduciari” del rapporto di lavoro, molto più pregnanti nelle piccole imprese che non nelle grandi realtà industriali decisamente più spersonalizzate, creando una disciplina diversa tra piccole imprese ed imprese medio-grandi, all’epoca giustificata anche da una cultura del “posto fisso” ormai del tutto superata in quanto non più in linea con i parametri di competitività richiesti dalle attuali sfide del mercato globale.
Questo dimostra che il tempo passa, che la società cambia e con essa cambia anche il mercato del lavoro che da anni si cerca invano di riformare nel senso di una maggiore flessibilità che sia strumentale ad una maggiore competitività del made in Italy, e dimostra anche che alcune normative hanno evidentemente fatto il loro tempo.
Con la vicenda di Melfi la FIAT ha lanciato un importante messaggio politico circa la necessità di una riforma del mercato del lavoro che non può essere più rimandata, e costituisce una pesante denuncia contro l’inerzia della politica che non riesce a varare questa riforma strategica per il rilancio della nostra economia, inerzia che rischia di provocare la sostituzione dell’azione della singola impresa, ispirata alle regole del mercato ed alle emergenze del momento, ad un necessario cambiamento del sistema ponderato da una mediazione politica che coinvolga tutti gli interlocutori.
Indubbiamente sono passati i tempi della contrapposizione ideologica e sociale padrone/operaio e l’unica svolta culturale che può garantire un futuro migliore è quella di considerare l’impresa come un valore da proteggere nell’interesse dell’intera economia nazionale in quanto fonte di reddito sia per il datore di lavoro che per il lavoratore e luogo di arricchimento professionale ed umano dove ciascuno, con le proprie capacità e competenze, collabora a costruire quel progetto sociale di pace e benessere da lasciare in eredità alle generazioni future.
Paolo Andrea Taviano
Magistrato

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