L’omelia di Natale dell’Abate di Montecassino
26 Dicembre 2010L’omelia dell’abate di Montecassino nella notte di Natale. NATALE DEL SIGNORE 2010 “Nella notte”.
Cari Fratelli e Sorelle, Siamo nella notte santa del Natale del Signore e anche per noi essa è l’invito a incamminarci nella notte della nostra vita per poter vedere ciò che ci è stato dato di udire nella prima lettura: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luceâ€. Anche noi tutti stanotte siamo accorsi in chiesa, tanti, desiderosi di ricevere una luce. Arriviamo tutti stanchi , agitati, ansiosi per una preparazione al Natale che ci vede sempre più sovraffaticati dalle tante complicazioni della vita. Tutto è sempre più frenetico, tutto è così di corsa, tutto così fatto perché si deve fare. Siamo sommersi di biglietti augurali prestampati, tutti uguali magari scritti al computer e dopo aver cliccato invio rimane ancor l’affanno della spedizione. In tanta fretta siamo spesso delusi, abbiamo nel fondo un gusto amaro: lavoriamo di più, abbiamo raggiunto anche degli obiettivi eppure quasi disperatamente andiamo ricercando il vero spirito del Natale. Ci sembra di averlo smarrito e cerchiamo ovunque: sui volti degli amici, dei colleghi, dei parenti, dei confratelli, dei passanti… niente. Ci sembra di non ritrovarlo. Eppure tutti ricordiamo che c’è stato un tempo, un anno, un giorno nel quale ci è sembrato di possederlo….e oggi? Che peccato… sembra sfuggirci di mano. Ecco allora che il nostro popolo si incammina nelle tenebre e va. Finalmente, dopo aver tanto cercato entra finalmente anche in Chiesa come noi stasera. Come milioni di nostri fratelli e sorelle nel mondo. In punta di piedi, stretti nei nostri cappotti, entriamo nella penombra e nel silenzio di una chiesa, di questa chiesa. Subito capiamo che dobbiamo riadattarci. Il frastuono delle nostre case, delle nostre cene ancora danza nelle nostre orecchie… il passaggio, il cammino dal rumore della mente al silenzio del cuore non è facile. Nella penombra o popolo di Dio cosa vuoi questa notte? chi sei venuto a cercare? Vorremmo forse anche commuoverci ma il cuore è talmente indurito che neanche una lacrima scende a irrigare l’aridità del nostro volto, del nostro cuore. Dio mio dove sei? Dio mio se sei nella mia carne esulta per me esulta con me. Un popolo camminava nelle tenebre. Ma stasera saliti sulla montagna di Dio, su ogni montagna di Dio volgiamo lasciare per un attimo il buio dei nostri pensieri, il buio delle nostre non-azioni, il buio della nostra cattiveria del nostro egoismo e vogliamo, lo desideriamo tanto o Dio, ricevere la tua luce. Vogliamo riaccostarci a te riscoprendoti bambino tenero, fragile e in questo contatto vitale desideriamo che una luce rifulga dall’alto per noi. Giunti con queste attese nel cuore , immaginiamo per un attimo di essere presso quella grotta. Giunti come spettatori un po’ disincantati, un po’ cinici, un po’ sprezzanti e arroganti buttiamo lo sguardo distratto a quell’umanissimo presepe. La luce ci attira, come quando fissiamo la fiamma di un fuoco acceso in uno dei nostri camini, Gesù ci attira ma attende paziente che siamo noi a prenderlo in braccio. “Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone†. Possiamo anche non crederci ma quel popolo puro e ricco di opere buone siamo noi, noi anche con tutte le nostre fragilità , purificati dall’offerta di Dio fatto uomo, ricchi delle opere buone che compiamo nel nascondimento, nell’umiltà o anche nel desiderio. Si perché spesso desideriamo in profondità di essere buoni, capaci di opere buone ma non ne troviamo la forza . Eppure in quel desiderio si è già inserito Dio e con la sua grazia sta già lavorando in noi. Fermi e silenziosi allora davanti a quella grotta santa, rapiti dalla luminosità di quel bambino osiamo avanzare una richiesta, un desiderio così umano, così spontaneo ogni volta che vediamo un bambino. Quale è questo desiderio? Cosa desideriamo quando vediamo un tenero neonato? L’aspirazione immediata è quella di chinarci su di lui e prenderlo in braccio. Guardiamo allora con pudore il volto della Madre di Dio, di Maria cercando di interpretarne i pensieri, i sogni, gli aneliti. Lei dolcissima continua a metterlo ogni giorno in braccio a ciascuno di noi, serena accondiscende ma ancor più ci invita. Giuseppe il Giusto osserva e custodisce il bene più prezioso di quel Bambino: la vita. In quel bambino scorre la vita dell’umanità , scorre la nostra vita. Ecco allora che preso coraggio, in punta di piedi, come siamo entrati nella comunione ecclesiale di questa chiesa, della Madre Chiesa, ci chiniamo con gesto di umiltà , l’unico che consente la presa, l’unico gesto che garantisce l’accoglienza di Dio nella nostra vita e chinati, tendiamo le nostre mani alle sue manine e finalmente possiamo prendere quel tenero corpo, quella soffice vita tra le nostre braccia. A quel punto qualcosa cambia. Appena sentiamo che quel bambino ci abbraccia forte, con tutta la forza del suo piccolo corpo allora tutti noi non possiamo non sentire forte il desiderio di essere madri, di essere padri per avere un bambino così da amare, da educare e nel suo abbraccio avvertire con percezione chiara , l’abbraccio di Dio. Questo bambino è “il Verbo fatto carneâ€, perché la nostra carne, la nostra storia, il nostro oggi possano diventare la mangiatoia in cui Gesù riposa, illuminando con la sua dolce presenza e animando la speranza nella nostra vita poiché “egli ha dato se stesso per noi†( Tt 2,14). Mettersi accanto a Dio come ci si mette accanto a un bambino appena nato è il grande dono di questa notte: non abbiamo nulla da temere e abbiamo invece tutto da sperare. Ecco il senso di questa notte, ecco il senso di quel disagio non chiaramente compreso che ognuno di noi avverte come un fastidio sopito, non compreso. L’oscurità allora di questa notte è fin troppo eloquente: in essa ogni ricerca, ogni indagine sarebbe impossibile. L’uomo da solo non trova la mèta, è possibile solo con una rivelazione che con la sua luce squarci la tenebra e faccia di questa notte oscura una notte santa. La santa notte. È questa la notte che celebriamo, una notte vinta per sempre dalla luce e dalla santità di Cristo. La liturgia orientale, ricca di spunti poetici canta per il Natale del Signore queste parole: “L’autore della vita è nato nella nostra carne dalla madre dei viventi. Un bambino da lei è nato ed è il Figlio del Padre. Con le sue fasce scioglie i legami dei nostri peccati e asciuga per sempre le lacrime delle nostre madri. Danza e sussulta, creazione del Signore, perché il tuo Salvatore è nato…Contemplo un mistero strano e inatteso: la grotta è il cielo, la Vergine è il trono dei cherubini, la mangiatoia è il luogo dove riposa l’incomprensibile, il Cristo di Dio. Cantiamolo ed esaltiamoloâ€.
Possiate scendere stanotte da questa montagna con una speranza più forte nel cuore, con una fede più robusta nell’anima, con un amore infinito rispecchiato nel volto.
+ Pietro Vittorelli
Abate di Montecassino