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Legittimo impedimento, dalla Corte Costituzionale si alle assenze in aula ma solo se giustificate

Né sì, né no. Cos’ la corte costituzionale si è espressa oggi in merito al legittimo impedimento, la legge approvata dal Governo Berlusconi che permette alle massime cariche dello Stato, fino ai ministri, di fermare processi che li vedono come imputati, contro la quale si sono schierati i giudici del tribunale di Milano. E’, infatti, nella palazzo di giustizia della capitale del nord che si devono tenere tre processi che vedono imputato il Presidente Silvio Berlusconi (Mills, Mediaset e Mediatrade). La corte non ha bollato come incostituzionale la legge, ma ne ha censurato alcuni passaggi. In sostanza la tesi del legislatore, in questo caso, puntava a far passare il principio che chi ha incarichi di Stato non ha il tempo per difendersi nei processi e non può seguirne gli aspetti processuali. La Corte, oggi, ha puntato il dito sugli aspetti relativi alla certificazione diretta dell’impegno da parte di Palazzo Chigi; all’obbligo previsto per il giudice di rinviare l’udienza fino a sei mesi; alla valutazione dello stesso impedimento la cui legittimità non scatta automaticamente ma va riscontrata di volta in volta da parte dei giudici. Al Giudice, inoltre spetta la valutazione relativa agli impegni per stabilire se sono o meno forzatamente concomitanti con l’udienza processuale fissata, per bilanciare così il diritto di difesa dell’imputato premier o ministro con la tutela della sua funzione di governo. Una decisione, quella della Corte Costituzionale, che fa tanti scontenti, ma in particolare nel centrodestra. Se è vero che l’impianto, teoricamente ha retto, è altrettanto vero che i giudici eserciteranno un forte controllo sulle giustificazioni per non presentarsi in aula.

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