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Ambiente: allarmante relazione sui mari europei del progetto internazionale “CLAMER”

Da Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riceviamo e pubblichiamo:
Gli oceanografi non hanno più dubbi: in un report condotto da “CLAMER”, un progetto europeo che riunisce 17 istituti oceanografici di dieci diversi paesi, ha denunciato che a causa dei cambiamenti climatici i mari d’Europa sono soggetti a cambiamenti di una rapidità senza precedenti a causa della fusione del ghiaccio artico, l’aumento della temperatura e la migrazione della vita marina.
Secondo il dottor Carlo Heip, direttore Generale del “Royal Netherlands Institute for Sea Research” leader del progetto “CLAMER” e principale autore della relazione, in un intervista rilasciata ieri all’agenzia di stampa Reuters “il cambiamento è chiaramente visibile ed è molto più veloce di quanto pensassimo”.
Durante gli ultimi 25 anni, infatti, la temperatura del mare è costantemente aumentata così come lo scioglimento del ghiaccio artico. La combinazione dell’aumento del livello del mare e venti via via più potenti hanno contribuito all’erosione del 15% delle coste europee, sostiene il rapporto. In questo periodo, le acque si sono surriscaldate circa dieci volte più velocemente rispetto alla media osservata durante tutto il XX secolo. La ricerca arriva anche ad ipotizzare un aumento del livello del mare da 60 cm a 1,9 metri per alcune coste inglesi entro il 2100.
In Italia, ce ne stiamo accorgendo un po’ tutti, ma le statistiche sono già più che drammatiche: un quarto delle nostre coste basse è soggetto ad erosione con un bilancio negativo impressionante di ben 5 milioni di mq di spiagge già perse. Tale fenomeno a dir poco catastrofico se si pensa agli effetti negativi di un paese a vocazione turistica, anche balneare, quale il nostro, non è percepito in maniera omogenea della nazione ed è frutto di processi quasi tutti legati all’azione umana.
È noto, infatti, che il boom edilizio e l’insussistenza di efficaci vincoli nel periodo che va dagli anni ’50 sino agli ’80, ha causato la perdita di gran parte del sistema di dune che venivano demolite per ricavarne materiale da costruzione o per sostituirle con lungomari, campeggi, villette, condomini, stabilimenti balneari, strutture alberghiere e ferrovie. Già nel corso di questo trentennio le spiagge sono state private di una difesa “naturale” e di un fondamentale riserva di materiale sedimentario, con la conseguenza di rendere tutto il sistema costiero totalmente anelastico, anche di fronte alle piccole variazioni stagionali o a singoli eventi meteomarini, ed esponendo così le coste alla costante minaccia dell’erosione anche in zone normalmente non sottoposte. Infatti, anche una spiaggia apparentemente stabile è soggetta ad un equilibrio dinamico nel quale arretramenti ed avanzamenti della linea della riva, per qualche decina di metri, hanno solitamente luogo anche in tempi brevi: se al posto delle dune il mare trova dei manufatti, il sistema non si può assestare su una configurazione di equilibrio temporaneo per mancanza di spazi e di materiali.
Caso emblematico di questo problema è costituito dal Salento, terra di vacanzieri e di bellissime spiagge, ma anche di scogliere a rischio crollo e in parte già franate, lidi sabbiosi divorati dal mare e stabilimenti balneari immersi nell’acqua. Questo vero e proprio allarme nazionale che ha colpito la parte maggioritaria delle coste del Belpaese non ha risparmiato, quindi, neanche la provincia di Lecce che risulterebbe essere la più colpita in Italia con una percentuale pari al 25 % di tutto il proprio litorale costiero per una lunghezza totale di circa 200 km di costa soggetta al fenomeno, tant’è che i sindacati degli imprenditori degli stabilimenti balneari, associazioni ambientaliste e le istituzioni locali da anni ormai dibattono per cercare delle soluzioni definitive nel rispetto degli ovvi vincoli ambientali pongano un freno a questa progressiva consumazione del litorale che riguarda in maniera minore il versante ionico (in particolare, Porto Cesareo, Gallipoli e la Marina di Ugento) e più incisivamente quello adriatico (Casalabate, Frigole, Cesine e Laghi Alimini le località più colpite).
Nella magnifica “terra dei due mari” nel corso di pochi anni si è registrata la graduale ma costante scomparsa di migliaia di metri cubi di sabbia, contemporaneamente al crollo di interi tratti costieri rocciosi e smottamenti del terreno anche in prossimità di centri abitati. Solo per fare un esempio, tra gli ultimi fatti di cronaca vale la pena ricordare quanto accaduto sul litorale sabbioso dei Laghi Alimini (Otranto) nella giornata del 25 luglio scorso quando una mareggiata, non del tutto eccezionale per una terra che è notoriamente esposta ai venti, ha letteralmente spazzato via dai sei ai dodici metri di spiaggia sabbiosa su di un tratto di circa un chilometro, e la situazione è andata progressivamente peggiorando nel corso dell’estate, finché alcune strutture balneari non sono finite quasi completamente in acqua nel bel mezzo della stagione turistica.
Alla luce del rapporto del progetto “CLAMER” sull’innalzamento del livello del mare che lascia presagire un peggioramento della tendenza della erosione e degli eventi che tutti possiamo empiricamente osservare che riguardano le nostre coste ed il futuro della nostra economia che vede nel turismo balneare uno dei settori strategici per lo sviluppo del Paese, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” non resta che avviare ai livelli nazionali e regionali progetti di sistema che anziché tentare di tamponare il problema con misure di circostanza (vedi per esempio i tentativi di rinascimento delle zone sabbiose) abbiano come obiettivo quello di adottare tutte le procedure possibili di natura permanente per la salvaguardia del litorale costiero a partire dalla preservazione dell’ambiente “dunare” dove sono presenti ancora le dune, sino alla ricostruzione delle stesse dove sono state cancellate, anziché costruirvi delle strade o nuovi stabilimenti balneari, ed alla realizzazione di barriere non invasive che proteggano dall’erosione spiagge e litorali rocciosi.

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