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Truffe sui prodotti tipici italiani e D.O.C. in aumento, le mani della criminalità e delle agro – mafie fatturano 12,5 miliardi di euro

Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo:
Se ne sono sentite e se ne sentono davvero di tutti colori nell’ambito delle truffe e adulterazioni dei prodotti tipici italiani: dalla mozzarella blu, al concentrato di pomodoro cinese (con scarti di fogliame annessi), agli spaghetti “tipici” prodotti in Portogallo, per passare ai 2.100 chili di bresaola della Valtellina a base di carne di manzo uruguayana, decongelata, avariata e con in bella vista il marchio Igp (Indicazione geografica protetta), sino ai dolci, savoiardi, amaretti e crumiri all’olio lubrificante (paraffino-naftemico) usato nell’industria delle plastiche e dei cosmetici. Per finire alle bevande ed agli ettolitri di vini e spumanti adulterati o contraffatti.
Fatto sta che le frodi alimentari continuano imperterrite a danneggiare non solo la salute dei cittadini, con rischi d’intossicazioni ed avvelenamenti di massa, ma anche l’immagine del Belpaese nel mondo, i cui prodotti tipici, un tempo irriproducibili e le cui ricette e produzioni rasentavano la soglia della intoccabile sacralità, oggi sono nel mirino di sofisticatori che senza alcuno scrupolo cercano d’imitarli con effetti che alla fine sono sotto gli occhi di tutti.
La spiacevole novità di questa filiera dell’illegalità, sta nel fatto che mentre prima le falsificazioni alimentari venivano fatte su scala quasi “artigianale” da qualche anno si è passati a quella industriale con organizzazioni criminali per non parlare di vere e proprie agromafie che hanno fiutato l’affare e si sono gettate a capofitto nel “mercato” delle frodi e sofisticazioni alimentari con guadagni anno per anno crescenti che secondo i dati presentati nel rapporto firmato da Eurispes e Coldiretti sulle “Agromafie”, avrebbero prodotto nel 2010 un giro di affari pari a 12,5 miliardi di euro, quasi 5 miliardi in più rispetto al 2009, quando una stima della Cia (Confederazione italiana agricoltura), ne aveva stimati “solo” 7,6.
Per non parlare poi di quello che è stato chiamato “Italian Sounding”, ossia la pirateria alimentare che richiama marchi italiani, tra gli esempi possiamo ricordare il formaggio “Parmesan” o “Parmesau”, per il mercato brasiliano, o gli olii extravergini d’oliva venduti come italiani, i salumi, vini, salse, per finire ai finti Ferrero Rocher, che crea un enorme danno all’immagine ed economico al Paese che, sempre secondo il rapporto Eurispes – Col diretti, supera i 60 miliardi di euro (164 milioni di euro al giorno), cifra 2,6 volte superiore rispetto all’attuale valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari.
Le spaventose cifre e le modalità con cui il made in Italy nel settore alimentare sta subendo gravi colpi per Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” dovrebbero spingere ulteriormente il governo a fornire nuovi e più efficaci strumenti legislativi e materiali alle autorità deputate ai controlli e verifiche a partire per esempio da un inasprimento delle pene e sanzioni in materia di reati connessi sino da un aumento delle dotazioni organiche dei N.A.S. e N.A.C. dei Carabinieri.
Siamo convinti, infatti, che solo con una decisiva svolta dell’intero “sistema Italia” che sia in grado di aumentare le tutele per questa che è una battaglia per la legalità, si potrà raggiungere il duplice obiettivo di proteggere la salute e la qualità della vita dei cittadini ed impedire che truffatori e la criminalità organizzata continuino a danneggiare e fare profitti a danno di un settore strategico ed importante per l’Italia come è quello dell’agroalimentare italiano.

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