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Banche e usura: genesi, storia, passaggi e conseguenze di un legame fisiologico

Dall’ufficio stampa Federcontribuenti riceviamo e pubblichiamo:
Per provare a spiegare quanto il problema dell’usura sia insito nel sistema bancario italiano (e non solo), proviamo a partire da tre frasi. La prima è del grande industriale americano Henry Ford che diceva: “Meno male che la popolazione non comprende il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani, scoppierebbe una rivoluzione”. L’altra è invece la definizione di usura che ci proviene dal medioevo: “Usura est ubi amplius requiritur quam datur”, che letteralmente significa “Usura è dove ciò che è stato richiesto è più ampio di quanto è stato dato”. E infine la terza frase: “Eppure una volta, tutto questo non succedeva” che estrapoliamo dai commenti che spesso qui a Federcontribuenti Veneto abbiamo sentito fare da più di qualcuno fra coloro che si sono rivolti a noi per avere una perizia sulle proprie linee di credito con le banche. Commenti che si ripetono, soprattutto quando l’assistito di turno, un artigiano o un piccolo imprenditore, ha una certa età. Ecco: queste tre frasi, contengono tre verità innegabili e messe tutte e tre insieme, possono costituire un valido approccio per tentare di spiegare come sia distorta (e non è casuale) l’idea che il reato di usura riguardi solo i cosiddetti “strozzini” o “cravattari”, ma come invece, concretamente e in linea di principio, nel corso degl’anni l’usura sia diventata ciò che, parafrasando Saviano, definiremmo “O’ sistema”. Partiamo, cristianamente, dagl’ultimi, ossa da coloro che dicono “Ma una volta, tutto questo non succedeva”. Hanno ragione e qualsiasi associazione a difesa dei consumatori ve lo potrebbe confermare: fino a qualche anno fa i contenziosi con le banche erano una cosa davvero rara. Ora non è più così. Che cos’è successo?

L’AVVENUTA PRIVATIZZAZIONE DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO

Giuridicamente, tutto inizia con la Legge del 30 luglio 1990, n. 218 e i successivi decreti di attuazione: “Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico”. La cosiddetta Legge Amato-Carli, che di fatto, privatizzava il sistema bancario italiano, ufficialmente per uniformarlo a quello europeo, in realtà, secondo noi di Federcontribuenti, svendendo un sistema che fino ad allora aveva funzionato per poi iniziare ad impazzire. Questo perché fino a quella data le banche erano sostanzialmente statalizzate (questo da quando, dopo la crisi del ’29, Mussolini le aveva nazionalizzate) e l’elemento pubblico era sicuramente prevalente rispetto a quello privato, ossia orientato alla ricerca degli utili come conviene ai privati. Parallelamente a questo, nel corso degl’anni, la Banca d’Italia cedeva alcune sue prerogative alla BCE, compariva l’Euro e ai Governi nazionali veniva meno lo strumento della svalutazione con il quale compensare le decisioni che le banche prendevano in tema di tassi di interesse. Insomma una serie di profonde trasformazioni, avvenute nell’incoscienza dei più, e che a parere di Federcontribuenti sono da mettere all’origine di quanto sta avvenendo oggi, ossia della crisi finanziaria che sta investendo Europa e America. Ma non solo.

LA LEGGE 108 del ‘96

Davanti alla privatizzazione delle banche, qualcuno all’interno del Parlamento italiano si mise, oltre che una mano sul portafogli, anche sulla coscienza. Chi conosce la storia parlamentare di quegl’anni, lo sa bene: da parte cattolica, in particolare da ambienti vicini alla CISL, sorse l’impulso di mettere un limite, una sorta di contraltare al potere che le banche, ad ogni decreto attuativo della legge Amato-Carli, da lì in avanti avrebbero assunto. Nasce così la 108 del ’96, una delle leggi del nostro ordinamento, a discapito dell’importanza, più sconosciute all’opinione pubblica del nostro Paese. Di fatto, una legge che traduce quel concetto contenuto nella seconda frase, tradotta dal latino, che abbiamo utilizzato a premessa di questo discorso e che sostanzialmente aggancia il reato di usura a quando si pretende più di quello che si da. Una legge che ridefiniva il quadro complessivo della fattispecie del reato introducendo, accanto ai “vecchi” parametri puramente soggettivi, previsti dalla precedente e poco incisiva formulazione legislativa, “nuovi” parametri cosiddetti “oggettivi”. Questo intervento del legislatore, ha contribuito ad ampliare, in maniera notevole, i casi di applicazione del reato di usura, che di fatto, nonostante gli interventi di Tremonti e della Banca d’Italia, va ben al di là del semplice superamento del cosiddetto Tasso Soglia Usura (art 2 L. 108/96). Naturalmente, all’uscita della legge, i commenti sono quelli che ancora oggi persistono quando si parla di usura, il cui tono è più o meno: “E’ una legge giusta, ma che riguarda quei tipacci che prestano denaro a strozzo, non certo le banche che invece si muovono nel pieno rispetto delle leggi e i cui tassi sono sempre inferiori al tasso di soglia ecc.” In realtà, come qualsiasi associazione a difesa dei consumatori può confermare, i contenziosi riguardanti il reato di usura coinvolgono principalmente banche e società finanziarie, e marginalmente i cosiddetti “strozzini” di quartiere. E come chiunque conosce bene la materia vi potrà confermare, il superamento o meno del tasso di Soglia di Usura non è l’unico parametro che determina il reato di usura. Anche se a qualcuno fa comodo far passare questa idea.

IL PRIMO INGANNO

Quando si parla di usura, l’idea predominante è che questo reato riguardi quei privati che prestano denaro a poveracci non più in grado di accedere al credito dei cosiddetti erogatori istituzionali. E’ un’idea sbagliata. Il reato, come già detto, riguarda soprattutto le banche, in rapporto alle aziende e le società finanziarie, nei confronti dei privati. Naturalmente, le percentuali di interesse dei prestiti erogati, nella carta sono sempre inferiori al tasso di soglia. Quel che avviene, è che tra spese, commissioni e altro, di fatto, nella stragrande maggioranza dei casi la cifra del capitale che si è costretti a “ritornare” è così superiore a quella ricevuta, da rientrare nel reato di usura sancito dalla legge 108 del ‘96. E questo è praticamente sistematico quando si tratta di artigiani, aziende edili e di questo genere e quindi, per loro natura, poco inclini al controllo finanziario sul rapporto in esser con la banca. In parole povere: succede a chi si fida. Davanti a tutto questo come è intervenuto il mai compianto Governo Berlusconi e in particolare l’ex ministro Tremonti? E’ storia recente: con un provvedimento contenuto nella manovra del maggio del 2011, ossia introducendo nuovi calcoli sulla riformulazione del tasso di soglia che lo hanno praticamente innalzato. Hanno provato a mettere una pezza facendo l’ennesimo regalo alle banche. Inutilmente. Il reato di usura, va, naturalmente, dimostrato caso per caso, ma secondo l’esperienza di Federcontribuenti e di qualsiasi esperto che si occupa di questa problematica, questo, nei fatti, avviene tuttora quasi sempre. Ma c’è di più.

IL VERO GRANDE INGANNO

Sfatiamo un mito: contrariamente a quel che si pensa le banche, quasi mai, prestano denaro. Questo, innanzitutto per un motivo: non ce l’hanno. E a dirlo non è Federcontribuenti, ma le stesse banche e chiunque sia a conoscenza dei famosi, per pochi, accordi Basilea, Uno, Due, Tre e via di questo passo, ossia quegli accordi internazionali intercorsi tra alcuni Stati e i maggiori gruppi bancari mondiali che a partire dal 1988 agganciavano la capacità di credito delle banche, tramite i cosiddetti moltiplicatori, a determinati parametri da rispettare, riguardanti il patrimonio, la liquidità e i crediti facilmente esigibili. Tanto per fare un esempio, assolutamente consueto: può normalmente succedere che una banca abbia depositi per un milione di euro, ma dispensi in prestiti anche cento milioni di euro. In realtà, quel che avviene è che nella stragrande maggioranza dei casi, le banche difficilmente elargiscono moneta contante, bensì aprono un credito, una cosa che solo apparentemente è uguale, ma che in realtà è materialmente e concettualmente completamente diversa. Cerchiamo di chiarire: un conto è dare denaro, e quindi privarsene, un’ altra cosa è permettere a qualcuno di accedere, secondo determinate modalità, ad un credito, costituito da capitali effettivi che la banca ha disposizione e che sono dati dalla somma dei depositi in cassaforte, da quelli più aleatori che la banca è in grado di riscuotere dai suoi debitori e infine dalla sua capacità di accedere ad ulteriori prestiti, dalle altre banche, sottoposti al tasso Euribor, poco superiore a quello ufficiale della BCE. In pratica quel che avviene quando la banca ci fa un fido o apre una linea di credito è, farci pagare, sottoforma di interessi, qualcosa che in realtà è superiore, materialmente e concettualmente, a quanto ci ha dato. Non è un meccanismo che cozza brutalmente con quella frase proveniente in latino proveniente dal Medioevo che dice “E’ usura, quando si pretende più di quel che si è dato” e accolta, nel suo spirito, dalla legge 108 del ’96? Non è evidente, ragionandoci, che la banca chiede denaro, di cui ci priviamo, in cambio di un qualcosa di cui in realtà non si priva?
Ecco perché, anche in linea di principio, l’usura è un qualcosa che riguarda soprattutto le banche. Ed ecco perché è tremendamente vera quella frase posta ad introduzione di questo intervento, detta non da un sovversivo anticapitalista occidentale, bensì da un suo esatto contrario, ossia da Henry Ford: “Meno male che la popolazione non comprende il nostro sistema bancario e monetario. Perché se lo capisse, credo che prima di domani, scoppierebbe una rivoluzione”. Mai come in questi tempi, parole vere e che Banche e Governi, dovrebbero tenere in alta considerazione”.

Marco Paccagnella, vicepresidente Federcontribuenti

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