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Palazzo 900 a Lanciano, infiamma la polemica

“Duole dover scendere in diatriba su una drammatica vicenda che coinvolge decine di famiglie sull’orlo della sfratto e della demolizione dei loro appartamenti (che ha già pesato come un macigno anche sull’esito delle recenti consultazioni elettorali), ma s’impongono doverose precisazioni”. Lo scrive in un nota il consigliere comunale di Opposizione a Lanciano Marco Di Domenico.
“Stupisce come l’avvocato Toppeta intervenga sul tema per scaricare colpe su altri quando è stato artefice in prima linea ed in duplice veste di quella pratica edilizia sia come ex Assessore all’Urbanistica (Fosco 1 e parte del Fosco 2 nel corso del quale fu revocato dal suo stesso ex Sindaco) che perorò e portò avanti quel Comparto, attuando un Sub Comparto senza la corretta procedura di variante, facendo rilasciare le concessioni edilizie dichiarate poi illegittime ed annullate dal Tar e dal Consiglio di Stato; sia come Legale e Consulente della Impresa costruttrice, che di conseguenza era stata trascinata dal confinante avv. Pietro Salvatore in giudizi civili ed amministrativi, tutti favorevoli al medesimo privato confinante.
Si tratta di una situazione grave e scomoda che, secondo lo stesso ex Assessore, sarebbe dovuta esser sanata da almeno uno dei ben tre assessori all’urbanistica che gli sono succeduti.
Ci si chiede: se doveva essere sanata vuol dire che perdura l’abuso?
E che questa spinosa vicenda sia infarcita di abusi e di illegittimità lo attestano una decina di sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, il cui giudicato noto é non possa essere violato altrimenti si commette il reato di abuso d’ufficio.
Ed allora di cosa si lamenta l’avv. Toppeta? Avrebbe voluto dal Consiglio di Comunale di Lanciano del Paolini bis alibi e coperture sia quale ex Assessore, defenestrato da Fosco, che quale Legale fiduciario dell’Impresa?
Secondo l’avv. Toppeta l’Amministrazione Paolini bis, con le osservazioni al Nuovo PRG (che proprio egli stesso come ex componente Fosco 1 e 2 non riuscì a portare avanti all’epoca, tanto che l’iter fu azzerato e riavviato ex novo nel 2007), avrebbe dovuto sanare quegli abusi, magari integrando le Norme Tecniche ad hoc, al fine di rendere legittimo ciò che più giudici amministrativi – all’unisono – hanno affermato essere contrario alle previsioni urbanistiche ed alla legge, quindi assolutamente non assentibili e da qui l’inviolabilità del giudicato, pena il reato.
In realtà, il Consiglio Comunale, con le osservazioni al PRG (che non possono attuare modifiche significative e sostanziali ma solo concedere piccoli aggiustamenti che non integrino né reati né illegittimità, sanando altre illegittimità e ciò è tanto più vero se si tiene conto del recente parere positivo dell’Amministrazione Provinciale di Chieti), non poteva fare proprio nulla; per cui l’assurda aspettativa è stata giustamente disattesa (il richiamo al completamento del comparto di via del Mancino è improprio anche perché in quel caso non vi erano decine di sentenze irrevocabili).
Chi ci rimette sul serio sono i poveri privati acquirenti con le loro famiglie e l’Impresa.
L’unica strada percorribile, indicata anche dal Tar, era quella di un bonario accordo, previo assenso del confinante, rivelatasi però impraticabile perché questi irreversibilmente contrariato proprio da quanto subito dall’Amministrazione Fosco con la gestione di quella pratica ed il lungo e costoso contenzioso derivatone.
Piuttosto, sarà il caso che l’Amministrazione Comunale si ponga il problema delle inopportune responsabilità (politiche, amministrative e contabili) di chi, a cose oramai irreversibili, esterna e critica paradossalmente dopo aver combinato la veste di Assessore con quella di Legale che curò quella pratica edilizia, che i Giudici civili ed amministrativi hanno bocciato perché illegittima: per tacere che le stesse sentenze irrevocabili hanno escluso espressamente che l’Amministrazione potesse sanare quell’abuso (il famigerato sub comparto) anche per lesione dei diritti del confinante circa le distanze.
Permangono, quindi, responsabilità sotto vari profili, su cui ora l’Amministrazione di Lanciano, ad acquisizione effettuata dell’immobile, deve riflettere ed agire di conseguenza, poiché l’accensione di un mutuo di 350.000,00 euro (secondo recente stima del tutto prudenziale) per la demolizione della palazzina e la gara per individuare la ditta che dovrà provvedervi comporteranno esborsi che non potranno restare a carico delle casse comunali e della collettività.
Resta l’amarezza per il disastro edilizio di via de Titta, che ha sconcertato e continua a sconcertare l’opinione pubblica, le malcapitate famiglie e l’Impresa e che, ahimè, catapulterà Lanciano alla ribalta della cronaca nazionale, come primo caso di uno sfacelo senza precedenti, per nulla imputabile alle Amministrazioni ed agli Assessori che si son susseguiti a quella dell’epoca dell’avv. Toppeta. E così – Conclude la nota Marco Di Domenico – se l’ex Assessore dice ora la sua lo fa impropriamente, forse per aver confuso ruoli e iter urbanistici rispetto ad un insuperabile quanto drammatico dato: quello rappresentato dalle previsioni di Piano e dalle legittime aspettative di diverse famiglie e dell’Impresa, che ora subiranno pregiudizi e, ovviamente, chiederanno all’Amministrazione i danni avendo confidato in scelte e decisioni urbanistiche errate, in concessioni edilizie illegittime ed in aspettative di un’epoca passata ripetutamente al setaccio dalla magistratura amministrativa regionale e nazionale”.

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