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Lo strano caso delle carceri italiane

di Palma L.

Inorridisco, quando vedo immagini che ritraggono le disumane condizioni di vita in certe carceri italiane. Inorridisco, quando leggo l’impressionante numeri di suicidi: uno ogni cinque giorni nel 2011. Inorridisco, all’idea che per 44 mila posti, ci siano circa 67 mila detenuti che, se la matematica non è un’opinione, sono all’incirca il 50% oltre il numero che dovrebbe essere contenuto nelle 206 strutture diffuse in tutta Italia.

Ma l’orrore più grande lo provo quando sento proposte “svuota carceri”, come se questa fosse l’unica strada percorribile. E mi chiedo il perchè. Perchè pensare di restituire la libertà a chi ancora non la merita per il solo fatto che il nostro Stato ha forti limiti di capacità gestionale? Non un pentimento, non il completamento di un percorso rieducativo per la reimmissione nella comunità, ma solo un problema gestionale.

E mi chiedo anche perché, se in Italia, al momento, esistono la bellezza di 38 istituti penitenziari pronti e mai utilizzati, non si possa pensare, piuttosto, a mettere più semplicemente in funzione quelli. Con interventi minimi. Perché alcuni di questi sono addirittura arredati. Eppure da decenni restano vuoti!

Alcuni esempi (*): ad Arghillà, in provincia di Reggio Calabria, mancano strada di accesso, fogne e allacciamento idrico; a Bovino, ad Accadia, ad Orsara, a Volturara Appula e a Castelnuovo della Daunia, tutte in provincia di Foggia, ci sono cinque strutture complete (l’ultima addirittura anche arredata), ma mai utilizzate, così come ad Altamura, in provincia di Bari, una delle tre sezioni dell’istituto non è mai stata messa in funzione. Ad Agrigento, in un’ala che potrebbe contenere 100 detenute, ve ne sono solo 6, e rimanendo in Sicilia, a Gela vi è un enorme penitenziario mai aperto. Nel carcere di Gorizia vi sarebbe un intero piano inagibile ma mai ristrutturato, mentre ad Irsina, in provincia di Matera, la struttura sarebbe stata utilizzata per un solo anno e poi abbandonata, per diventare un deposito comunale. A Codigoro, in provincia di Ferrara, a Gragnano, in provincia di Napoli, a Galatina, in provincia di Lecce, altre tre strutture pronte e mai avviate, mentre in quella di Cropani, in provincia di Catanzaro, vi vive addirittura il custode …ma solo lui! A quello di Licata, in provincia di Agrigento, manca solo il collaudo, mentre a Mileto, in provincia di Vibo Valentia, il plesso è stato ristrutturato e mai riaperto. A Monopoli, in provincia di Bari, il carcere abbandonato è stato abusivamente occupato dagli sfrattati. Più complessa la vicenda di quello di Morcone, in provincia di Benevento: costruito; abbandonato; ristrutturato ed arredato; vigilato; abbandonato un’altra volta. A Revere, in provincia di Mantova, i lavori di costruzione sono iniziati vent’anni fa e mai ultimati; e ad oggi la struttura, per la quale sono stati spesi alcuni milioni di euro, è stata ormai saccheggiata. A Rieti vi è una struttura occupata solo per un terzo a causa della carenza di personale, mentre totalmente abbandonato è il carcere di San Valentino, in provincia di Pescara, costruito vent’anni fa e mai utilizzato. A Villalba, in provincia di Caltanisetta, la struttura, anch’essa completata vent’anni fa, avrebbe potuto ospitare 140 detenuti, e invece dopo essere rimasta chiusa a lungo, è stata trasformata in un centro polifunzionale. Altra ristrutturazione a cui è seguita la chiusura è quella del carcere di Squillace, in provincia di Catanzaro, mentre sono sotto impiegate le sezioni di Udine, Vicenza e Venezia. Ad Arena e a Soriano Calabro, in provincia di Vibo Valentia, a Cropalati, in provincia di Cosenza, a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, a Spinazzola, in provincia di Barletta-Andria-Trani, e a Pescia, in provincia di Pistoia, gli istituti penitenziari sono stati soppressi.

Vi siete fatti, leggendo, un’idea di quanti soldi, tanti soldi, troppi soldi, siano stati spesi per queste strutture, rimaste poi abbndonate? E davvero crediamo che la soluzione sia restituire la libertà a chi ancora non la meriterebbe, rafforzando così l’idea dell’ INCERTEZZA della pena? Perché, invece, il problema non viene mai letto ed affrontato da questo punto di vista? Meditiamo, gente; meditiamo..

(*) dati desunti dal rapporto informativo redatto dall’ associazione Antigone.

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