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Massacro tra mura domestiche, sono 217 donne uccise dai mariti o compagni e il 15% aveva denunciato le molestie

Omicidi a seguito di separazione insopportabile: il tarlo della gelosia che consuma, la smania di possesso, l’impossibilità di accettare un abbandono sono tematiche costanti nelle cronache degli ultimi tempi.
“E’ stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati” cantava Fabrizio de André in un puro inno all’amore capace di bastare a sé stesso, superando le distorsioni della paura che trasformano molti rapporti in trappole mortali; se oggi questa frase sembra ben lontana dalla condivisibilità non è perché l’amore si è rafforzato ma perché si è indebolito, lasciando spazio a rapporti patologici segnati da una dipendenza affettiva che spesso viene confusa, erroneamente, per un “eccesso di passionalità” o persino un “troppo amore” che ottenebra la razionalità dell’omicida. Questi errori di definizione non permettono di rilevare la gravità di quella che sta assumendo sempre più i numeri di una mattanza e che vede, al 10 di settembre di quest’anno, circa 90 donne uccise da uomini che spesso conoscevano, e che – a seguito di una separazione o un rifiuto – hanno deciso di mettere fine alla vita di quelle che dicevano di “amare”. Una decina gli uomini che si sono suicidati dopo aver commesso un omicidio.
Il 15% circa delle donne uccise aveva presentato denuncia per stalking, ma probabilmente sono state molte di più, tra le vittime, le donne perseguitate che non hanno presentato denuncia per paura, perché temono della loro incolumità e di quella dei familiari, per sfiducia nelle autorità, per la difficoltà di far fronte alle inevitabili spese legali. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Stalking almeno un persecutore su tre è recidivo, e dopo la denuncia o condanna torna a perseguitare la vittima, spesso con una ferocia maggiore dettata da uno spirito di vendetta che non viene minimamente mitigato dall’intervento delle autorità.
Il Ministro in carica dovrebbe attuare una spending review anche sulle risorse economiche ed umane che i contribuenti, da alcuni decenni, hanno “dovuto” destinare al finanziamento dei centri anti violenza, dei Comuni, Province e delle Regioni oltre che al Numero di Pubblica Utilità 1522 e alla Rete Nazionale Antiviolenza.
Le energie e le competenze profuse, a fronte dei finanziamenti ricevuti, indicano chiaramente che il lavoro solo sulle vittime non è efficace e che – per tentare di contenere le varie forme di violenza, stalking compreso – è necessario investire su una reale prevenzione che dovrebbe risiedere nel lavoro con i presunti autori ed i loro familiari. Perché lavorare con gli stalker?
Lo stalker è un individuo che presenta gravi difficoltà ad accettare ed elaborare un abbandono a causa di un disagio psicologico pregresso che deve essere affrontato con specifici strumenti e con l’intervento di psicoterapeuti specializzati. La sola coercizione non desta, nello stalker, la consapevolezza dei suo errori, perché egli non è in grado di prendere autonomamente consapevolezza della lesività del suoi atti.
L’ Osservatorio Nazionale Stalking ha istituito, dal 2007, il Centro Presunti Autori che ha già risocializzato 200 stalker. Volontari psicologi e psicoterapeuti altamente specializzati, operano, con sedute di psicoterapia, sul presunto autore e sulle sue difficoltà ad elaborare ed accettare un abbandono. Questa è l’unica modalità per stroncare la recidiva del persecutore e permettere alle vittime di tornare a condurre una vita normale. Grazie al percorso, il 45% degli stalker ha raggiunto un completo contenimento degli atti persecutori, mentre nel 20% dei casi si è verificata una significativa diminuzione dell’attività vessatoria, della recidiva, e la prevenzione degli agiti più gravi. Sarebbe importante prevedere nella legge 612-bis il percorso per il presunto autore per diminuire l’incidenza dello stalking.
Una vittima uccisa è una vittima che non è stata adeguatamente protetta. Quando un omicidio avviene dopo una denuncia per stalking, è necessario soffermarsi a riflettere riguardo alla reale efficacia di questa legge, con la finalità di perfezionarla ed integrarla con strumenti adeguati. Dati ufficiali relativi al 2011 descrivono una realtà sconcertante: le misure cautelari contengono in circa il 50% la recidiva nei casi di violenza e atti persecutori. In una percentuale significativa, gli omicidi avvengono dopo o durante l’adozione delle misure cautelari o dopo che la vittima ha esposto una o più denunce.

Gli esperti volontari dell’Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia dal 2001, in particolare dei dipartimenti denominati Osservatorio Nazionale Stalking, Centro Presunti Autori, Osservatorio Sicurezza e Osservatorio Nazionale sulla Violenza Psicologica, in collaborazione con il Sindacato di Polizia Coisp, dal 2009 con la Commissione Sicurezza di Roma Capitale e dal 2011 con l’Assessorato Politiche sociali e Famiglia della Regione Lazio, portano avanti il progetto “Stalking Care”. I volontari si prendono cura di tutte le persone che di rettamente o indirettamente subiscono o agiscono tutte le forme di violenza, sia uomini che donne, presunte vittime, coppie vittime/autori e presunti autori.
Chi è uno stalker? Ribadendo che stiamo analizzando una realtà assolutamente trasversale, in oltre 10 anni di esperienza sul campo possiamo tracciare una sorta di identikit:

Nel 70% circa è una persona di sesso maschile;
Nel 95% circa è un conoscente (familiare, partner, ex partner, amico o collega di lavoro e studio);
Nell’80% circa è un manipolatore affettivo, una persona che agisce da subito violenza psicologica;
Nel 70% circa ha subito un lutto, un abbandono o una separazione significativa mai elaborata: tale dolore lo/la rende molto sensibile ad un abbandono, una separazione o rifiuto.
Nell’85% circa vive il c.d. Colpo di Abbandono Improvviso;
Nel 100% circa dopo il C.A.I. agisce una forma di craving (non poter fare a meno di agire determinati comportamenti) simile alle persone che sono dipendenti da gioco, da internet o da sostanza;
Nel 90% circa ha uno stile di attaccamento insicuro evitante o ambivalente;
Nell’80% circa (la ricerca è ancora in atto) inizialmente dimostra un’empatia molto elevata che nasconde in realtà un’empatia vicina allo zero finalizzata ad usare le altre persone;
Nel 10% circa soffre di una psicopatologia invalidante con perdita di contatto con la realtà;
Nel 90% circa soffre di una psicopatologia delle relazioni.
Sono le stesse vittime e i familiari a chiedere un percorso di ri-socializzazione per i loro cari e ad inviarli ai nostri centri, dato che difficilmente denuncerebbero gli stessi alle forze dell’ordine. Per una prevenzione efficace ed efficiente e per far emergere il numero oscuro (non denunce) che in questi casi si aggira intorno al 95%, oltre alle misure cautelari bisogna prevedere percorsi specifici sia per le persone in libertà o che sono tornate in libertà, sia per quelle ristrette in carcere e per quelle che possono godere dell’affidamento ai servizi sociali.
A Roma, dal 15 al 17 novembre 2012 sarà organizzato il I° Congresso Europeo sui presunti autori di violenza, stalking e omicidi in collaborazione con il Sindacato di Polizia Coisp, la Commissione Sicurezza di Roma Capitale e l’Assessorato Politiche sociali e Famiglia della Regione Lazio.
Numero nazionale stalking: 0644246573 Mail: presuntiautori@stalking.it
Web: www.centropresuntiautori.itwww.stalking.itwww.osservatoriosicurezza.itwww.mediacrime.itTwitter: stalkingitaly – Skype: stalking.it


IL DIBATTITO “NUOVA LEGGE” E’ APERTO ANCHE IN GRAN BRETAGNA

Da diverso tempo, in Inghilterra, è fortemente sentita la necessità di introdurre una nuova legge sullo stalking. Casi eclatanti come quello avvenuto ai danni di Claire Waxman, perseguitata da Elliot Fogel, produttore di Sky Sport News ed ex compagno di scuola della signora, hanno alimentato molti dubbi sul fatto che una legge che valuti con leggerezza l’attenzione verso gli eventuali disagi psicologici del presunto autore possa ottenere il risultato di diminuire l’attività vessatoria caratteristica del reato di stalking. Dopo pochi mesi di prigione, infatti, gran parte degli stalker continua a molestare la vittima con maggiore crudeltà e uno spirito di vendetta che non di rado porta all’omicidio della stessa. La parola d’ordine riportata da quasi tutte le testate inglesi è PREVENZIONE. Laura Richards, membro dell’associazione “Protection Against Stalking” sostiene che la nuova legge dovrebbe essere indirizzata in particolare alla prevenzione dell’omicidio e rivolge un pensiero anche al dramma delle vittime: “spesso” – dichiara la Richards – “le vittime soffrono in silenzio l’abuso dello stalker, e quando trovano la forza di denunciare, soffrono per le falle della giustizia; è giunta l’ora di dare ascolto ai loro appelli”. Secondo Harry Fletcher la percentuale degli stalker destinati agli arresti domiciliari e al carcere è così esigua da non permettere loro di usufruire sufficientemente del trattamento di riabilitazione che dovrebbero ricevere per un lasso più lungo tempo, motivo per il quale è necessario che il trattamento venga fatto seguire al presunto autore anche dopo la scarcerazione. Tra le tante voci emerge quella di Alison Hewitt, medico vittima di una forma molto violenta di stalking da parte del suo ex-fidanzato; la dottoressa, in un’intervista, dichiara: “lo stalking distrugge una vita ed è necessario prenderlo molto seriamente; se questo non succederà, quest’incubo riguarderà qualcun altro domani, e potrebbe toccare proprio a voi”.

LE MILLE FACCE DELLA PERSECUZIONE: LA GIUNGLA DEI “SOCIAL”

E’ risaputo che il crimine si adatti alle situazioni sociali più rapidamente della giustizia, e l’aleatoria politica in tema di privacy di alcuni social network favorisce inconsapevolmente la proliferazione di un altro orrendo crimine: lo stalking per mezzo della rete internet, denominato anche cyber-stalking. In Inghilterra ben tre quarti delle vittime sono perseguitate via internet. Dalla sua nascita ad oggi, il popolare Facebook, ha collezionato una lunga serie di “presenze” nelle vicende di stalking, compresi casi finiti in tragedia, come l’omicidio di Putignano (Ba), in cui una ragazza di 22 anni, Antonella Riontino, ha perso la vita in seguito ad una feroce persecuzione agita dal fidanzatino 18enne anche e soprattutto a mezzo Facebook, nel quale possedeva più profili, anche con pseudonimi, per terrorizzare la ragazza con minacce notturne.
Non è raro leggere di ex partner pieni di risentimento che creano profili con le generalità della vittima per diffamarla, diffondere fotografie scattate nell’intimità o confondere gli amici della stessa al fine di ottenere informazioni riservate.
Facebook ha notificato da pochi giorni l’intenzione di creare una sorta di “account verificato per i vip” che intendessero iscriversi al social fugando i dubbi sull’autenticità del profilo (è sufficiente notare il caso di Gabriel Garko: cercando oggi il suo nome e cognome sul popolare social network, si vedranno apparire decine e decine di profili con le sue generalità…). Perché non estendere questo DIRITTO anche agli altri utenti del social, garantendo l’autenticità dei profili prima che qualche utente malintenzionato possa appropriarsi dell’identità di un’altra persona? E se gli amministratori del sito dovessero considerare una mole di lavoro eccessiva questa forma di tutela per gli utenti, perché non chiedere una verifica del profilo (con richiesta di documento via mail/fax) a seguito di diverse segnalazioni d’abuso da parte degli altri utenti del social (o di una lamentela da parte del soggetto a cui l’identità è stata “rubata”)? Spesso prima che una persona si renda conto di essere stata “clonata” sul social network (è bene ricordare che non tutti hanno un profilo e – per chi non dovesse averne uno – tutelarsi è ancora più difficile) passa molto tempo, e i danni psicologici e morali che si contano dopo atti criminali che passano per il furto d’identità potrebbero essere devastanti.
Prevenire, piuttosto che “curare il crimine”, sarebbe anche in questo caso un grande passo avanti per rendere i social network un reale centro d’aggregazione e di comunicazione e non una grande rogna per chi vuole tutelare la propria identità! E se questa politica venisse abbracciata da tutte le piattaforme di blogging, il problema del cyber-stalking si potrebbe considerare in gran parte risolto!

LA RICERCA

Quanto è diffuso lo stalking in Italia? Da una ricerca di tipo epidemiologico condotta a livello nazionale su un campione di 9600 persone composto al 50% da uomini e al 50% da donne dai 17 agli 80 anni ed è emerso che circa una persona su cinque (il 20% della popolazione) ha subìto atti persecutori: il 70% delle vittime sono donne e il 30% sono uomini. Il persecutore è nel 55% dei casi un partner o ex partner, nel 5% un famigliare, nel 15% un collega o compagno di studi, e nel 25% un vicino di casa. E’ recidivo nel 30% dei casi. Questo significa che UNO STALKER SU TRE E’ RECIDIVO: DOPO LA DENUNCIA CONTINUA A PERSEGUITARE LA VITTIMA. Nel 70% dei casi la vittima presenta esiti psico-relazionali gravi.
Nella cartina la percentuale di incidenza dello stalking (vittime) per regione:

I RISULTATI DEL CENTRO PRESUNTI AUTORI

Dal 2007, l’Osservatorio Nazionale Stalking, associazione di volontariato che opera su Roma e in diversi centri sul territorio nazionale, ha istituito il Centro Presunti Autori, il cui obiettivo è quello di segnalare a tutte le persone che si trovano a mettere in pratica agiti persecutori la possibilità di uscire dalla condizione di persecutore grazie ad una presa di coscienza del problema e ad un supporto psicologico specializzato coordinato da esperti.
Il percorso è gratuito, e 120 stalker sono già stati risocializzati lasciando intravedere alle proprie vittime lo spiraglio di una speranza: quella di vivere una vita normale. Il protocollo ha prodotto una serie di dati incoraggianti: il 40% degli stalker ha raggiunto un completo contenimento degli atti persecutori, mentre nel 25% dei casi si è verificata una significativa diminuzione dell’attività vessatoria, della recidiva, e la prevenzione degli agiti più gravi.


ALCUNI CASI DELLO SCORSO ANNO

Roma, 14 agosto 2011: Stefano Suriano, pluridenunciato per stalking, viene ucciso a coltellate da Carlo Nanni, 63 anni, padre della vittima, esasperato dalle continue aggressioni e minacce che lo stalker indirizzava alla vittima, alla sorella e ai suoi figli. Dopo l’arresto, dichiara: «le abbiamo tentate tutte, ma lui continuava a torturarci».

Trieste, 27 agosto 2011: Giuseppe Console, 23 anni, denunciato per stalking dall’ex moglie, uccide il coetaneo Giovanni Novacco, convinto del fatto che quest’ultimo avesse allacciato recentemente una relazione con la sua ex compagna.

Roma, 30 luglio 2011: Bernardino Budroni viene ucciso dalla polizia dopo un folle inseguimento sul Grande Raccordo Anulare; si era presentato per l’ennesima volta a casa della ex fidanzata con una pistola a salve tentando di sfondare il portone e di aggredirla.

Desio (MB), 29 agosto 2011: Giovanni Avogadro, 31 anni, non riesce ad accettare la separazione dalla sua ex fidanzata, Valeria Mariani, 27 anni, così la uccide con sette colpi di pistola prima di togliersi la vita.

E’ impossibile elencare tutti i casi di stalking, così come gli omicidi-suicidi: solo ad agosto ci sono stati altri tre casi a Casalpusterlengo (Lo), Tesimo (Bz), Celano (Aq).

Storie diverse, con un denominatore comune: la paura dell’abbandono, la gelosia, l’incapacità di elaborare un rifiuto, un disagio psicologico che non si riesce a fronteggiare da soli e che non si può cancellare con una denuncia o un ammonimento. Eppure la legge non prevede un percorso di risocializzazione per i presunti autori di stalking.

La «giustizia fatta in casa» è in aumento: la sfiducia verso la legge spinge la vittima di stalking ad organizzarsi autonomamente per far fronte alle vessazioni fisiche e psicologiche che non sa come gestire. In questo senso, la dichiarazione di Carlo Nanni che, preda dell’esasperazione, ha ucciso lo stalker di sua figlia, è tragicamente esemplificativa: «le abbiamo tentate tutte» (ma non siamo stati tutelati da nessuno).

CONTESTI DELLO STALKING

Per quanto riguarda gli stalker, il 20% soffre di un disturbo di personalità, mentre solo il 5% soffre di una psicopatologia grave, con totale perdita di contatto con la realtà. Il 70% presenta una rigidità nelle relazioni, che si traduce in una difficoltà di gestione delle relazioni interpersonali. Questo fenomeno è riconducibile ad uno stile di attaccamento insicuro, evitante e ambivalente. Spesso sono soggetti insospettabili: funzionano bene nella società e mantengono un buon contatto con la realtà, ma sono dei manipolatori e bugiardi patologici. La violenza psicologica che attuano ai danni della vittima inizia in tempi insospettabili e sfocia nello stalking nel momento in cui quest’ultima decide di abbandonare la relazione.
Il 20 % degli omicidi ha avuto come prologo atti di stalking.

UN RITRATTO DEL PERSECUTORE

Stalker

Lo stalker è un individuo che non è in grado di elaborare ed accettare l’abbandono: nel momento in cui «sente di perdere» una persona importante, attiva automaticamente una serie di comportamenti orientati a mantenere un contatto «controllante» con la vittima e farla desistere dal proposito d’allontanamento. Queste azioni sono, per lo stalker, quasi «istintive» in quanto il distacco dalla persona “amata” risveglia violentemente dei dolorosi «ricordi emotivi» di un vissuto abbandonico celato nell’infanzia. La denuncia fonda la sua efficacia sulla capacità cognitiva del persecutore di analizzare la situazione e prendere autonomamente consapevolezza dei suoi atti, ma è chiaro che lo stalker stesso, in buona parte dei casi, ha già perduto la capacità di mantenere un buon livello di contatto con la realtà quando si trova nell’ossessione di ritrovare una vicinanza con la vittima.
E’ davvero possibile contare semplicemente sul buonsenso e sulla capacità analitica di una persona che, vivendo un forte disagio psicologico, ha perso parzialmente o completamente il contatto con la realtà?
Proprio per la sua struttura di personalità, lo stalker «legge» la denuncia come un’ulteriore «provocazione» da parte della vittima, e spesso questo causa un’esplosione di violenza incontrollabile che porta all’omicidio o all’omicidio-suicidio; un percorso di psicoterapia potrebbe,

invece, aiutare concretamente lo stalker a prendere coscienza delle proprie azioni – lesive della libertà altrui – e superare il disagio che lo spinge a instaurare relazioni di dipendenza affettiva. Senza questa fondamentale premessa è impossibile diminuire la recidiva e fronteggiare adeguatamente lo stalking.
MENO RICHIESTE D’AIUTO E MENO INTENZIONE DI DENUNCIARE
Da gennaio 2010 a gennaio 2011 l’Osservatorio Nazionale Stalking. ha registrato una flessione del 25% nelle richieste d’aiuto: inoltre, le persone che ci hanno contattato hanno dichiarato di non avere intenzione di denunciare il persecutore.
Le motivazioni che le vittime adducono per la mancata denuncia sono sostanzialmente di tre tipi: la sfiducia verso le autorità (nessuna garanzia di sicurezza o protezione dopo la denuncia), la paura di peggiorare la situazione persecutoria e il fatto di voler aiutare il presunto autore senza farlo condannare, dato nel 90% circa è un conoscente o un familiare.
Gli ultimi casi di cronaca lasciano trasparire messaggi chiari ed inquietanti: uno stalker su tre, dopo la denuncia e, talvolta, dopo la condanna, continua a perseguitare la vittima, sovente con maggiore intensità, violenza e frequenza. Non è raro che si arrivi all’omicidio.

PREVENIRE E “SEGUIRE” IL PERSECUTORE: UNICA SPERANZA PER CONTRASTARE LA CRESCITA INNARESTABILE DELLO STALKING E DELLA VIOLENZA

La prevenzione e un percorso di risocializzazione orientato al presunto autore sono necessari. In mancanza di queste premesse, il fenomeno dello stalking continuerà a crescere in violenza ed intensità. Purtroppo questa realtà è già ravvisabile nell’aumento degli omicidi preceduti da vessazioni psicologiche. Il percorso di risocializzazione coordinato da esperti e psicologi è orientato a

«favorire la consapevolezza che determinate azioni arrecano danno e paura e, quindi, nell’assunzione di responsabilità di queste azioni. Lavoriamo su questo rimosso di profondo dolore e rabbia radicato da anni» (Massimo Lattanzi, psicoterapeuta – presidente ONS).
Non è possibile aiutare la vittima di stalking finché non si agisce sul persecutore

MANCA IL PATROCINIO GRATUITO PER TUTTI, LE ISTITUZIONI SONO ASSENTI
La vittima di stalking che decide di denunciare deve farsi carico delle spese legali. La mancanza del patrocinio gratuito PER TUTTE LE VITTIME (indipendentemente dal reddito) è una gravissima pecca del 612-bis. Alla difficoltà di denunciare lo stalker, spesso un familiare o un conoscente della vittima, si aggiunge la difficoltà a far fronte alle spese legali. Anche questo fattore concorre nel limitare il numero delle denunce. Ma ci sono altri fattori: primo su tutti, la lentezza della pena. Tra la denuncia e l’eventuale condanna passa troppo tempo e la vittima viene lasciata sola dalle istituzioni che dovrebbero tutelarla, rimanendo quindi esposta all’escalation degli atti persecutori che, come già detto, spesso piuttosto di subire un’interruzione, aumentano d’intensità.

Alcune vittime tentano il suicidio, molte si sentono isolate.
La vittima

UN CORTOMETRAGGIO SULLO STALKING, A CURA DI MASSIMO TERRANOVA.

Per far comprendere anche ai più giovani quanto sia importante lavorare sulla prevenzione e sulla risocializzazione per i presunti autori, è stato realizzato un cortometraggio che narra le storie di due stalker che acquisiscono consapevolezza della loro condizione e decidono di seguire un percorso specifico per “liberare la loro vita e quella altrui” dal dramma dello stalking.
Il trailer si può visionare a questo indirizzo:

http://www.youtube.com/watch?v=VTBCU9TFQt0

“Una famiglia è un posto in cui le anime vengono a contatto tra loro. Se si amano a vicenda, la casa sarà bella come un giardino di fiori. Ma se le anime perdono l’armonia tra loro, sarà come se una tempesta avesse distrutto quel giardino”
Siddharta Gautama Buddha.

La conseguenza è visibile a tutti, ed è lo stalking; il tratto più evidente di un disegno di sofferenza e abbandono originariamente composto a matita, quasi invisibile, negli anni.
Lo stalker generalmente narra una storia di dolore spesso radicato in un’infanzia in cui l’unica arma di difesa dalle percezioni d’indifferenza è stata la feroce negazione dell’amore, cresciuta silenziosamente nel paradosso di un bisogno disperato di affetto.
La fragile personalità dello stalker si struttura a fatica sul sentore di essere vittima di un «rifiuto originale», il rifiuto supremo, quello delle figure di riferimento.
La ferita inferta nella tenera gioventù muta in una forma d’insicurezza cronica, che prelude ad un terrore dell’abbandono ossessivo e costante che troppo spesso finisce per evocare l’allontanamento delle persone amate, in quanto l’attaccamento dell’individuo che non ha esperito una forma sana di amore è l’attaccamento di un analfabeta delle emozioni, che per tutta la vita tenterà di instaurare rapporti duraturi senza esserne realmente capace.

Il comportamento ansioso e incapace di elaborare l’abbandono del bambino “rifiutato” tornerà prepotentemente ad insediarsi nella vita dell’individuo adulto nel momento in cui quest’ultimo sentirà di essere allontanato dalla persona oggetto del desiderio, portandolo a una regressione che lo costringerà a rimanere legato a doppio nodo all’ossessione della figura che gli negherà l’accudimento di cui sente di avere, da sempre, un disperato bisogno.
Qualsiasi abbandono in età adulta evocherà l’abbandono “sommo” percepito nelle fasi più delicate della crescita, annebbiando – di fatto – la capacità cognitiva del futuro stalker di rendersi autonomamente consapevole dell’insensatezza del suo comportamento nei confronti della figura idealizzata come quella del “salvatore”, una figura verso la quale proverà sentimenti contradditori ed ossessivi, volti al recupero del suo amore totalizzante o alla sua definitiva distruzione, spesso non solo simbolica.

Il secondo rifiuto viene da una famiglia assai più allargata: la società.
Ma qui le accezioni di “rifiuto” da considerare sono due: da un lato allo stalker viene negata–“rifiutata” la classificazione precisa in una tipologia di scarto incompatibile con la collettività, non permettendo così l’individuazione del corretto trattamento al quale dovrebbe essere sottoposto per non trasformarsi in un rifiuto tossico (altamente nocivo o mortale) per la società stessa, mentre dall’altro il rifiuto è da riferire alla percezione dello stalker che, dopo essersi auto-identificato come un emarginato nel suo stesso contesto famigliare, finisce per sentirsi rifiutato anche dal contesto sociale in cui è inserito, che – invece di investire risorse nella rieducazione sociale e sentimentale del reo – decide di destinarlo agli arresti domiciliari o al carcere, entrambi trattamenti inadeguati per il problema stalking (fenomeno sociale) e per il problema… dello stalker (soggetto deviante).

Il “rifiuto” umano viene abbandonato in un contesto in cui non è prevista alcuna attenzione per la componente psicologica, trasformandosi così in un rifiuto tossico una volta reinserito nella società. Il rifiuto tossico danneggia, avvelena, uccide.

La disattenzione per la matrice dello stalking, il mancato riconoscimento della natura del problema e le soluzioni sbrigative per disfarsene non portano ad alcuna soluzione se non ad un’imprevista e sgradevole non-soluzione che finisce per aumentare le difficoltà di porre un freno ad un fenomeno che colpisce oggi un italiano su cinque.
In questo libro, Massimo Lattanzi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Stalking e psicologo-

psicoterapeuta propone alcune soluzioni al complesso problema dello stalking, partendo proprio dalla constatazione che di stalking si parla tanto, ma si conosce davvero ancora molto poco. Se lo stalking è un problema per il quale ancora oggi non è stata “coniata” una soluzione adeguata, è perché non si è posta sufficiente attenzione verso lo studio serio e approfondito della materia, unico presupposto che potrebbe costituire un prologo al corretto trattamento dello stalking e dello stalker. Socrate lo disse più di duemila anni fa, e ancora oggi suona tristemente attuale: l’ignoranza è l’origine di tutti i mali. Anche dello stalking.

Protocollo operativo: come funziona il percorso di risocializzazione

Il protocollo integrato preventivo – riparativo è caratterizzato dal ricorso a strumenti che promuovono la riparazione degli “effetti perversi” della relazione conflittuale come la cessazione della comunicazione, forme di aggressività e violenza. La partecipazione della vittima offre la reale opportunità di riacquistare un elemento di controllo sulla propria vita, sul proprio senso di sicurezza e sulle proprie emozioni.
Il modello, che si pone a favore delle vittime per offrire una riparazione concreta del danno derivante da un reato, ricerca modelli sanzionatori alternativi a quelli propriamente afflittivi, tenta di promuovere la risocializzazione del reo offrendo a quest’ultimo una reale possibilità di reintegrarsi nella comunità; la valenza riparativa e responsabilizzante può alleviare il senso di colpa o di ansia che altrimenti potrebbero condurre alla commissione di un nuovo reato.
Il protocollo permette un reale riconoscimento della vittima che può riguadagnare il controllo sulla propria vita e sulle proprie emozioni, superando gradualmente il rancore ma anche di sfiducia verso l’autorità che avrebbe dovuto tutelarla.
La premessa dell’acquisizione, da parte del reo, della consapevolezza dei contenuti lesivi della propria condotta è costituito dal riconoscimento della vittima che cessa di apparire come un oggetto impersonale per attuarsi a pieno titolo come persona, con il suo vissuto di sofferenza, di insicurezza, di umiliazione. Il protocollo preventivo – riparativo è orientato sia all’appagamento dei bisogni ed alla promozione del senso di sicurezza delle presunte vittime, sia alla responsabilizzazione ed alla presa in carico del presunto autore. Si realizza così il superamento del concetto di reato come mera violazione di una norma giuridica e l’accoglimento, invece, di una visione relazionale-sociale del fatto criminoso, che legga l’offesa come porzione di una più complessa relazione conflittuale.
L’obiettivo sostanziale di questo approccio è la ricomposizione della frattura nella comunicazione interpersonale tra «presunto autore» e «presunta vittima» (tra le persone che condividono la peculiare espressione relazionale che è il conflitto) provocata dalla commissione del reato o dalle sue conseguenze. Questo approccio, figlio della Giustizia Riparativa, intende superare la logica della punizione partendo da una lettura relazionale del crimine, recepito come un conflitto che provoca la rottura di aspettative socialmente condivise.
Il protocollo si distingue sostanzialmente dagli altri, in quanto non persegue soluzioni unilaterali, in quanto «si prende cura» anziché «punire», ed è orientato all’appagamento dei bisogni delle presunte vittime, del presunto autore e della comunità dove viene vissuta l’esperienza di vittimizzazione.
L’alternativa tracciata dal protocollo prevede che al binomio reato-pena si contrapponga il binomio conflitto-riparazione, compiendo una ri-codificazione significativa del crimine, intesa come relazionale. Il reato ritorna come conflitto alle parti; il carattere punitivo della pena lascia il posto ad una prospettiva di riparazione del danno e di ripristino comunicativo tra «presunta vittima» e «presunto autore» del reato, attivando un processo di ricostruzione degli spazi di interazione. Spazi che presso l’Osservatorio Nazionale Stalking, l’Osservatorio Sicurezza e il recente Osservatorio Nazionale Violenza Psicologica sono gestiti dal gruppo di lavoro multidisciplinare di volontari esperti che offrono consulenze e percorsi gratuiti individuali, di coppia e familiari, con presa in carico preventiva essenzialmente nei casi di separazioni e gravidanze, applicando strumenti e strategie della psicologia del distacco © 2008 AIPC.
I dati sono assolutamente incoraggianti, dal 2009 il protocollo è stato applicato ad un campione di circa 300 persone, tra singoli, coppie e nuclei familiari, e ha permesso di prevenire atti violenti e persecutori, omicidi e suicidi. Il protocollo in oltre il 70% è risultato efficace ed efficiente, in oltre il 50% ha prevenuto comportamenti recidivi che sono frequentissimi nei casi di violenza psicologica e stalking.

RIFIUTO TOSSICO. STALKER E TRATTAMENTO: PRIGIONE O TERAPIA?

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