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Casa della Carità: Pensare e agire normale è la nostra proposta, esserne consapevoli è la nostra sfida

Continuare a pensare e ad agire normalmente. Questa è la vera sfida anche quando dentro le nostre opere, che accolgono persone senza dimora, tutti continuano a vivere la dimensione dell’accoglienza e dell’accompagnamento come indirizzata esclusivamente a persone che vivono situazioni anormali e molto diverse da noi.

Questo è il paradigma educativo che la Casa della Carità vuole ribaltare. Il tentativo è di traghettare la Casa da luogo di ospitalità a luogo di socialità. Di aprire l’opera sociale alla comunità, di essere una nuova agorà per la città, dove cultura, arte, spettacolo, formazione diventano occasioni di crescita e di riscatto umano e sociale.

E’ questa, io ritengo, una strada a senso unico. Infatti l’opera se chiusa diventa inevitabilmente ghetto e confine tra normalità e presunta diversità. Se si rimane chiusi o aperti con il contagocce all’esterno, che è la stessa cosa, vuol dire che come operatori tradiamo, quello che noi tutti crediamo profondamente, e cioè la possibilità della autodeterminazione e della rigenerazione di ogni uomo. In qualche modo, ed è questa una sfida che ci deve vedere uniti, noi operatori sociali dobbiamo proteggerci insieme dai nostri stessi pregiudizi, dai nostri fallimenti, dal pensare l’uomo povero come persona monca senza abilità e talenti, senza la possibilità di poter offrire altro rispetto al piatto di pasta e al posto notte.

Qualcuno, ogni tanto dall’esterno, in visita veloce nella Casa chiede, riferendosi agli ospiti, ma perché non gli fate fare qualche lavoretto? Gli ospiti come possono contribuiscono alla manutenzione della Casa ma è in questa domanda, posta in buona fede, che si nasconde tutto il nostro pregiudizio nei confronti di chi, per qualche corto circuito della vita, si è fermato ed è stato spinto, come in un mulinello vorticoso, all’esterno delle relazioni sociali di tutti noi diventando “un dimenticato”.

La 1° ricerca sulla Condizione dei senza dimora in Italia, in questo senso, parla chiaro. Ci spiega, leggendo i dati raccolti, che l’immagine classica del barbone sporco e all’angolo della strada è in forte diminuzione perché aumenta vertiginosamente la povertà che prende il volto di “tutti noi”. Esistono certamente persone senza dimora che hanno bisogno di un accompagnamento medico-farmacologico, psicologico ed educativo ma credere che questi rappresentino la maggioranza della popolazione è un errore grave.

Occorre ripensare tutti i modelli inclusivi sperimentati fino adesso e ripensarli alla luce di questa nuova forma di esclusione sociale fino a ieri normalità di tutti i giorni. In questa prospettiva la Casa della Carità di Cassino apre le sue porte con una serie di iniziative all’interno della struttura.

La Casa diventa quindi un luogo che accoglie eventi ed iniziative di ogni tipo che hanno il sapore della normalità e che si sarebbero potute svolgere in una qualsiasi piazza o luogo di aggregazione della città. Si svolgono invece in una Casa che accoglie poveri e contribuiscono a restituire a quel luogo una immagine diversa meno “pietosa” e più centrata verso il desiderio di aggregare.

Tra l’altro molte delle persone che si coinvolgono nelle iniziative ed eventi, che solo apparentemente sono lontane dalla Casa, non avrebbero mai spontaneamente deciso di entrare in una Casa per poveri. Mosse dalla loro passione per il corso evento vi partecipano entusiaste.

Durante lo svolgimento delle iniziative gli ospiti della Casa e gli ospiti venuti da fuori abbattono le barriere di pregiudizio e di silenzio. Si ritrovano davanti a qualcosa che gli interessa, che diventa chiave per aprire un discorso ed iniziare relazioni, amicizie, condivisioni che portano a percorsi di aiuto e sostegno inediti, non prevedibili per gli operatori. Infatti l’approccio non è tra medico e malato ma tra chi si ritrova interessato, coinvolto dentro un argomento o una passione comune. Si aprono amicizie allo stato embrionale.

Gli eventi che noi proponiamo hanno un altro obiettivo importante. Ripartire dai propri talenti e dalle proprie passioni che il dolore e l’esclusione hanno solamente nascosto ed assopito. Ma dobbiamo essere convinti che vanno risvegliati e che devono essere adoperati come leva motivazionale per rimettersi in pista e nei casi più fortunati, scoprire che la propria passione può trasformarsi  in una occupazione.

Nella Casa inoltre, involontariamente, ci si mette alla scuola dei poveri. In tempi di crisi e scandali morali come questi ultimi dove manager e politici “sopravvivono” con 8.000, 00 euro al mese, sono tentato di considerare questi  senza dimora dei “maestri”, degli esperti della crisi, alla scuola della quale dovremmo forse apprendere tutti qualcosa in più circa ciò che è essenziale e ciò che equo per condurre una vita dignitosa.

Non in ultimo la Casa propone, ai cittadini della nostra comunità, esperienze di volontariato e di dono del proprio tempo avvicinandoli in modo originale. Queste sono, rivolte a tutti, proposte di partecipazione a fare la “Casa insieme”. La precarietà quotidiana ha influenzato gli stili educativi delle generazioni cambiando oggi la modalità della partecipazione al bene comune e all’esperienza della solidarietà.

Vivere sulla propria pelle attività orientate in questa direzione significa condividere l‘appartenenza ad una comunità, superare i pregiudizi ed essere convinti che il proprio destino, inevitabilmente, dipende anche da quello altrui. L’importante, per noi operatori, è esserne consapevoli.

Foto A. Ceccon

 

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