Il 15 settembre dello scorso anno, ricorrendo il LXV anniversario dalla vigenza del trattato di pace e dal passaggio della sovranità statuale su Istria, Fiume e Dalmazia, trasferita alla Jugoslavia in pari data (1947), l’Associazione dei combattenti e dei partigiani croati ha organizzato un’importante cerimonia commemorativa che si è tenuta a Pola: per molti aspetti, il luogo simbolo della tragedia epocale riassunta nel grande Esodo dei 350 mila, e secondo la puntuale ricostruzione di Luigi Papo nel martirio di oltre 16 mila Vittime. In effetti, fu proprio alla mezzanotte di quel giorno infausto che le chiavi di una città deserta, da cui era fuggito il 92 per cento degli abitanti, vennero consegnate ad Ivan Motika: il medesimo personaggio che in tempi successivi sarebbe tornato agli onori delle cronache quale imputato al processo contro gli infoibatori (concluso da una surreale quanto singolare pronunzia di non luogo a procedere per un’infondata carenza di giurisdizione).
L’adunata di Pola, cui non è mancato un conclamato supporto accademico grazie al contributo dell’Università di Zagabria, ha confermato la permanenza di forti sentimenti nazional-comunisti, iterando le vecchie manifestazioni tenutesi nel capoluogo istriano con l’intervento di Stipe Mesic, all’epoca Presidente della Repubblica di Croazia, per non dire della pregiudiziale espressa dalla predetta Associazione, ancora due anni orsono (agosto 2010), contro l’ipotesi di erigere una grande Croce “bipartisan†sulla foiba di Vines, dove l’eroica squadra di Arnaldo Harzarich aveva estratto una novantina di Vittime, già nell’autunno del 1943.
In Italia, l’evento è passato sotto silenzio, fatta eccezione per qualche trafiletto asettico comparso sulla stampa d’informazione del nord-est. E’ un atteggiamento che non si può giustificare ma che si deve comprendere alla stregua dello spirito di “entente cordiale†collegato al prossimo ingresso croato nell’Unione Europea (luglio 2013), cui la stessa Slovenia ha fatto buon viso suo malgrado, affidandosi all’arbitrato per risolvere l’annosa vertenza riguardante le acque territoriali ed il confine sulla Dragogna. In effetti, i conati filo-comunisti che continuano a manifestarsi nelle Repubbliche ex-jugoslave unitamente alle celebrazioni del defunto Maresciallo non costituiscono espressioni di suggestivo folclore, ma s’inquadrano in una ricorrente strategia negazionista di Esodo e Foibe, offensiva non soltanto per gli istriani, fiumani e dalmati, ma prima ancora per l’Italia.
I profughi, secondo gli affabili vessilliferi dell’Associazione croata dei partigiani, erano “fascisti che scelsero liberamente di andare†perché non accettavano il nuovo sistema collettivista delle democrazie popolari, mentre gli infoibati, assai inferiori alle stime abbozzate da una storiografia italiana prevalentemente riduttiva in proprio, pagarono le “colpe†del Ventennio (cinque condanne a morte per comprovati atti di terrorismo) e quelle per le rappresaglie compiute alla stregua del diritto internazionale bellico durante la guerra contro la Jugoslavia (scoppiata nel 1941 – giova ricordarlo – a seguito di un improvviso voltafaccia di Belgrado a danno dell’Asse).
E’ sorta in tal modo la multiforme vulgata dei misteri: ad esempio, c’è ancor oggi chi considera tali la strage di Vergarolla (Pola) del 18 agosto 1946 voluta dalla polizia politica di Tito, come è stato documentato da fonti britanniche ufficiali; ovvero, la scomparsa dei finanzieri di Trieste, sequestrati dai partigiani il 1° maggio 1945 e condannati proditoriamente al tragico destino della foiba o dei campi di annientamento. Un altro mistero non meno significativo sta nel fatto che, finita la guerra, la Jugoslavia abbia chiesto all’Italia la consegna di parecchie centinaia di “criminali di guerraâ€, diversamente dagli altri Stati vincitori, ivi compresi Albania ed Etiopia, che lo fecero per cifre assolutamente minime. A quanto pare, i “criminali†erano stati destinati per la quasi totalità al fronte jugoslavo: una favola a cui credono in parecchi, perché le code di paglia continuano a proliferare, sia in Croazia che in Italia.
La Legge 30 marzo 2004 n. 92 ha istituito il “Giorno del Ricordo†di Esodo e Foibe e lo ha fissato nel 10 febbraio di ogni anno, quale anniversario del trattato di pace, ma ciò non significa che il 15 settembre debba essere ignorato; tra l’altro, era stato proposto come alternativa non meno pertinente, assieme al 9 giugno, giorno della liberazione di Trieste al termine dei famigerati 40 giorni di occupazione slava, in cui troppe Vittime innocenti irrorarono con il proprio sangue una pace appena raggiunta ed a più forte ragione beffarda. Soprattutto, non significa che una lettura come quella del 15 settembre appena data dai partigiani di Pola possa avere diritto di gratuita affermazione, senza che da parte italiana vengano sollevate motivate obiezioni: dopo due terzi di secolo è auspicabile perseguire un clima di buon vicinato tuttora imperfetto, ma è congruo che ciò avvenga superando residue posizioni antistoriche ormai indifendibili, come quelle della Croazia, e pervicaci atteggiamenti di noncurante rassegnazione, come quelli dell’Italia.
Carlo Cesare Montani