A pochi chilometri da Trieste, sull’altipiano carsico, si trova il Sacrario di Basovizza (Monumento Nazionale), nel nuovo assetto definitivo inaugurato il 10 febbraio 2007, in occasione delle celebrazioni per il “Giorno del Ricordo”. Si tratta del pozzo di una vecchia miniera abbandonata, in cui tanti italiani, Vittime innocenti del terrorismo partigiano scatenato dalle milizie slavo-comuniste di Tito, trovarono la morte durante l’immediato dopoguerra.
Si è potuto effettuare un calcolo numerico, necessariamente di larga massima, alla luce dei livelli rilevati alla base del pozzo, prima e dopo gli eventi: il conteggio, suffragato dagli elenchi delle persone scomparse nei quaranta giorni di occupazione jugoslava della città e del comprensorio (1° maggio – 10 giugno 1945), ha permesso una valutazione di almeno 2500 Caduti.
A tali rilevazioni si fa riferimento nella stele di pietra del Carso che chiudeva l’imbocco della voragine prima della sistemazione definitiva e che oggi insiste sul terreno a lato del monumento principale: vi si dà ragione, in forma schematica ma agghiacciante, del cumulo di Vittime che giacciono sul fondo, pari a circa 300 metri cubi, e che non fu possibile recuperare, al pari di quanto è accaduto in buona parte delle foibe istriane.
Oggi, Basovizza è luogo di raccoglimento e di preghiera ma nello stesso tempo, d’informazione. Infatti, accanto alla zona monumentale è stato realizzato un Centro di documentazione permanente; senza dire che da tempo è invalso l’uso di erigere, a fianco della grande Croce, una serie di lapidi e di cippi commemorativi, offerti dalle Associazioni d’Arma in memoria dei loro Caduti, assassinati senza pietà perché italiani.
Tra i monumenti più significativi “ad memoriam†si possono ricordare quelli eretti a Basovizza dall’ANA (Associazione Nazionale Alpini), dall’ANPS (Associazione Nazionale della Polizia di Stato) e dall’ANFI (Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia). In particolare, quest’ultimo intende onorare, con l’elenco nominativo riportato sulla pietra, i 97 Caduti della Guardia sequestrati nella caserma triestina di Campo Marzio, come primo atto dell’occupazione jugoslava, e subito dopo, gettati nella voragine od altrimenti assassinati (come da testimonianza di un superstite, Angelo Unali di Cagliari, che vide la colonna dei Martiri destinati all’estremo sacrificio, in balìa dei loro aguzzini).
In effetti, una quota significativa dei Caduti appartiene alle Forze Armate, ivi compresi Carabinieri, Finanzieri e Poliziotti, emblema dello Stato italiano che si voleva distruggere col perverso “genocidio programmato” della popolazione autoctona (di cui alla lucida definizione di Italo Gabrielli): accanto alle Vittime giuliane si immolarono tanti Italiani di altre Regioni, in specie del Mezzogiorno e delle Isole, colpevoli di avere onorato il proprio dovere.
Sugli eccidi delle foibe, ed in particolare su quello di Basovizza, non mancano documenti storici allucinanti. Qui, conviene limitarsi a denunciare la singolare efferatezza delle stragi, in un contesto di antica civiltà come quello europeo: quasi a dimostrare quanto possa essere scuro l’eclisse delle “alte non scritte ed inconcusse leggi†e dei valori fondamentali della vita associata, soffocati dalle prevaricazioni e dall’odio.
Come scrisse Stefano Petris, Eroe dell’ultima difesa di Cherso, la sera prima dell’esecuzione capitale (ottobre 1945), il genocidio delle foibe e degli altri delitti assimilati non riuscì ad uccidere “né lo spirito né la fedeâ€, e l’ultimo pensiero di tanti Caduti venne rivolto consapevolmente a Dio ed all’Italia : fulgido esempio, opportunamente ribadito dal Vescovo Antonio Santin nella preghiera dell’Infoibato riportata sulla pietra di Basovizza, di quanto fossero perseguibili, persino nell’atroce calvario di quella grande, tragica “cattedra sprofondata nelle viscere della terraâ€, gli eterni ideali di Giustizia e di Amore.
Angelino Unari