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Con un tweet il consiglio europeo approva il bilancio del prossimo settennato, ovviamente sconveniente per l’Italia

di Max Latempa
Il Consiglio Europeo ha approvato il bilancio economico dei prossimi sette anni e la notizia è stata data alla gente niente di meno che dal presidente del Consiglio Europeo Van Rompouy con un tweet: “Deal is done”, ha scritto, come se avesse partorito la moglie o se stesse parlando ai suoi amici della scampagnata domenicale.
L’ Unione Europea spende milioni di euro tra apparato delle comunicazioni e conferenze stampa e questo tipo bizzarro (che nessuno ha eletto e nessuno sa perché è lì) quando ancora i capi di stato dovevano uscire dalla sala della riunione, aveva già divulgato l’ esito sul suo profilo twitter. Questa gente crede veramente di essere una star del cinema o dello sport, totalmente vittima della mania di protagonismo che prevarica la sobrietà e la serietà imposta dal proprio ruolo.
Comunque i risultati dell’ accordo sono stati davvero modesti, per la prima volta al ribasso nella storia della UE, e volti soprattutto a far fare bella figura ai due politici in maggior difficoltà d’ Europa: Cameron e Monti.
Il britannico aveva tuonato che se il bilancio non fosse stato ridotto dai quasi millecinquanta miliardi dello scorso settennato ad una cifra vicina ai 900 miliardi, non lo avrebbe sottoscritto. Ed aveva annunciato l’ indizione di un referendum per far uscire la Gran Bretagna da questa UE dalle mani bucate. Dato che tutti i sondaggi danno perdente la UE in un referendum di questo tipo in qualsiasi nazione d’ Europa in questo momento, Cameron è stato accontentato ed il referendum non si farà più, con buona pace degli inglesi. Infatti il bilancio dei prossimi sette anni sarà di 960 miliardi di impegni e 908 di pagamenti, cioè oltre 100 miliardi in meno di quanto aveva proposto la Commissione Europea.
Per infrastrutture, innovazione e ricerca verrebbero stanziati 125,6 miliardi 13,84 miliardi in meno rispetto alla bozza precedente. Un altro miliardo verrebbe limato all’amministrazione, mentre due miliardi si recupererebbero dagli Affari esteri. Crescono invece di 4,659 miliardi i fondi per la coesione “economica, sociale e territoriale” e di 1,25 miliardi fondi per la politica agricola comune. Sei miliardi di euro sono destinati a Spagna, Italia, Portogallo e Grecia per iniziative contro la disoccupazione giovanile. Viene introdotto, inoltre, il principio di “flessibilità” limitata: dal 2013 una parte dei fondi inutilizzati entro l’anno potranno essere riportati nell’esercizio successivo e non essere restituiti agli Stati membri come accede ora.
Il nord Europa ha portato a casa facilitazioni nella contribuzione (Germania, Olanda, Svezia e Danimarca), oltre all’intoccabile sconto attribuito sin dagli anni ’80 alla Gran Bretagna. Le agevolazioni sono sotto forma di ridotta aliquota europea sull’Iva (Germania, Olanda e Svezia) e di taglio annuale dei contributi (130 milioni per la Danimarca, 650 milioni per l’Olanda e 160 milioni di euro per la Svezia).
L’ Italia migliora il saldo netto (il rapporto tra spese e fondi ricevuti) e scende di 3,8 miliardi (lo 0,23% del pil) rispetto ai sette anni precedenti. Sulla carta, poi, dovremmo avere 3,5 miliardi di euro di risorse aggiuntive. Ma rimaniamo in assoluto il primo contribuente dell’ Unione Europea. Infatti, in rapporto al pil, paghiamo molto di più di Germania e Francia. Perché?
Bisognava mettere i chiaro queste cose ma Monti non lo ha fatto. Si è accontentato delle briciole e lo vuole far passare come un enorme successo. Intanto noi paghiamo e l’Europa applica politiche totalmente contrarie ai nostri interessi economici.
Tuttavia l’accordo non è definitivo perché il Parlamento europeo deve ancora pronunciarsi e, senza il suo sì, l’intesa salta. Infatti l’accordo sul bilancio raggiunto dai leader UE «è inaccettabile», perché «non rafforza la competitività ma la indebolisce» e «crea deficit» in violazione dei Trattati. «Il vero negoziato sul bilancio comincia ora, con il Parlamento europeo». È quanto scritto nel comunicato dei leader del Parlamento, firmato da Joseph Daul (Ppe), Hannes Swoboda (S&D), Guy Verhofstadt (Alde) e Daniel Cohn-Bendit (Verdi), i quattro maggiori gruppi del Parlamento.
Intanto la crisi avanza e questi non sanno che pesci prendere.

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