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Sigarette e tabacco. La crisi incrementa in Italia anche il traffico delle “Cheap White” ovvero sigarette fabbricate legittimamente a basso costo

Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo.

Non solo il classico “contrabbando”, con la crisi incrementa in Italia anche il traffico delle “Cheap White” ovvero sigarette fabbricate legittimamente a basso costo.  Allerta per la salute a causa degli elevati livelli di catrame, nicotina e monossido di carbonio, oltre alla presenza di altri elementi estranei al prodotto.

Un altro triste primato, giacché in questi ultimi anni l’Italia è abituata ad occupare le code di molte classifiche a livello europeo anche per chi si occupa di tutela della salute, è quello del consumo di “bionde”. Il Nostro Paese, infatti, costituisce il mercato più importante per il consumo di sigarette a livello europeo. Nella speciale graduatoria al Belpaese seguono Germania, Spagna, Polonia e Francia. Questi primi cinque Paesi UE detengono il 60% dell’intero volume d’affari derivanti dalla vendita di sigarette.

Venendo al dettaglio del caso “Italia” per comprendere quale sia il  mercato nazionale è sufficiente prendere una parte dei dati presentati da JTI (Japan Tobacco International) a seguito di una serie d’incontri organizzati sul territorio con gli operatori Assotabaccai.

I primi 50 prodotti venduti generano il 79% del volume totale delle vendite, mentre il grosso di queste viene realizzata da 36mila tabaccherie su un totale di circa 56mila.

Per non parlare del dato che deriva dalla vendita illecita di sigarette che con la crisi economica ha ripreso a volare con prospettive che paiono ricordare quelle di fine anni ’80 – inizio anni ’90, quando il contrabbando aveva raggiunto i massimi livelli.

Per quanto è dato sapere, le stime del 2012 parlavano di cifre già importanti derivanti dai traffici illeciti di  “bionde” con una fetta pari al 6,4% del mercato italiano e perdite erariali per circa 875 milioni di euro.

L’incremento del fenomeno del contrabbando avviene attraverso flussi provenienti sia via mare a mezzo container dalla Cina e dalla Grecia, che via terra dalla Repubblica di Moldova, dalla Polonia e dall’Ucraina.

L’Italia che con enormi sforzi anche in termini di vite umane perse era riuscita a vincere la guerra ai contrabbandieri ed era diventata soprattutto quale luogo solo di transito del traffico di sigarette, oggi ritorna ad essere destinazione finale e terra di consumo.

Sono i numerosi sequestri sul territorio  nazionale a confermarcelo e i dati che la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale hanno rilevato. La maggior parte dei sequestri(70%) in Italia avverrebbero prevalentemente lungo la dorsale adriatica in particolare ad Ancona, Bari e Brindisi, con le Marche ed in particolare la Puglia che insieme raggiungono il 60 % del totale dei sequestri effettuati dalla Guardia di Finanza.

A parere di Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, se è vero che il fumo ed il tabagismo sono piaghe sociali che dovrebbero essere debellate per i costi umani e sociali che portano ogni anno nonostante le campagne a caratura non solo europea che tendono a disincentivarli, va sottolineato che l’uso di sigarette di contrabbando costituisce un pericolo ancor maggiore per la salute pubblica.

Dev’essere sottolineato, infatti, che oltre al “classico” contrabbando ed ai derivati del tabacco contraffatti, sta prendendo piede in Italia il traffico delle “cheap white”, ossia delle sigarette fabbricate legittimamente a basso costo e con marchi registrati nel Paese d’origine e “redirezionate” verso il mercato europeo. Queste “bionde” pur non essendo commercializzabili all’interno dell’Unione Europea in quanto non conformi ai parametri minimi previsti dalla normativa comunitaria sono oggettivamente ancora più dannose per la salute a causa degli elevati livelli di catrame, nicotina e monossido di carbonio, oltre alla presenza di altri elementi pericolosi.

Per contrastare la vendita di questi prodotti nel novembre 2012 è stato raggiunto un accordo per iniziative comuni dalla Convenzione per il controllo del tabacco dell’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) che conta 176 Paesi: tra le misure decise c’è l’obbligo per gli stati membri di costringere i produttori ad iniziative per aumentare la tracciabilità dei pacchetti.

È ovvio che in una situazione di crisi simile nel quale i fumatori, anche meno incalliti sono costretti ad indirizzarsi verso questi tipi di prodotti per trovare un po’ di risparmio, è lo Stato che deve tenere alto il livello di guardia per proseguire con quell’operazione di contrasto al contrabbando ed al traffico illecito di sigarette che porta benefici non solo all’erario, ma soprattutto alla salute dei cittadini.

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