La coltivazione di cannabis non costituisce reato. Un’altra interpretazione discordante dall’orientamento delle Sezioni unite
18 Aprile 2013Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo.
La coltivazione di cannabis non costituisce reato. Duro colpo alla criminalità  organizzata. Un’altra interpretazione discordante dall’orientamento delle Sezioni unite. La condotta non mette in pericolo la sicurezza pubblica, che è il bene tutelato dalla norma incriminatrice.
 Imputati assolti perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. È quanto emerge dalla sentenza 1176/13, pubblicata dal tribunale di Ferrara che stabilisce†Vanno esenti da censure, all’esito del rito abbreviato, i due giovani arrestati perché coltivano in casa quattro piantine di canapa fra i quaranta e i sessanta centimetri ciascuna. Se infatti il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è rappresentato dall’ordine e dalla sicurezza pubblica, non possono risultare irrilevanti elementi come il numero delle piante, la destinazione a uso personale dello stupefacente e il luogo di detenzione della sostanza in un appartamento, dunque luogo non accessibile al pubblico.
La vicenda riguardava due ragazzi che avevano comprato semi e attrezzature in negozio dopo essersi documentati tramite internet su come coltivarli. I due giovani, arrestati dai carabinieri due settimane fa in seguito a una perquisizione domiciliare in cui erano state rinvenute quattro piantine di marijuana e otto grammi di sostanza stupefacente non erano spacciatori ed avevano una vita normale. Erano solo consumatori di cannabis stanchi di procurarsela in strada. È per questo che il Giudice monocratico ha assolto gli imputati: perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Pertanto risulta dunque disatteso l’orientamento delle Sezioni unite penali secondo cui ogni coltivazione di cannabis costituisce reato, al di là dell’utilizzo.
Secondo il giudice del merito le argomentazioni non sono «aderenti alla realtà che si sperimenta quotidianamente nei palazzi di giustizia». Con tutta la droga che gira in Italia, fa capire il magistrato, non sono le quattro piantine coltivate in casa da due giovani non collegati ai clan che fanno aumentare in modo apprezzabile la quantità in circolazione. Paradossalmente il consumatore che produce cannabis in proprio per il consumo personale «evita di contribuire all’incremento dei traffici legati alla criminalità organizzata». Inoltre il concetto di coltivazione, secondo il giudice del merito, deve essere interpretato in senso restrittivo e quella “domestica†deve essere assimilata alla semplice detenzione di stupefacenti.
Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Dirittiâ€, un’altra storica decisione in materia in materia di consumo di cannabis e derivati che dovrebbe persuadere il legislatore ad una modifica della disciplina troppo severa di fronte ad un fenomeno di massa che in questi anni con le leggi vigenti ha foraggiato le mafie che hanno trovato terreno fertile nel mercato illegale.