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Un museo archeologico a decine di metri di profondità tra le isole Pontine, Marina Militare e Mibac a caccia di relitti

a caccia di relitti9A caccia di relitti romani tra le isole Pontine. Un cacciamine della Marina Militare, il Numana, impegnato nelle sue normali funzioni di controllo di accesso ai porti per salvaguardare le sicurezza delle rotte navali, rientra nel progetto Archeomar, una collaborazione tra Marina Militare e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac).

Un sonar, solitamente usato per la ricerca di ordigni, e le sofisticate apparecchiature che solitamente servono per rimuoverli, vengono utilizzati per “ricollocare” le esatte posizioni o anche cercare nuovi relitti di ogni epoca. “In particolare, le nostre attività si stanno concentrando al largo dell’isola di Ventotene dove sono censiti molti relitti di epoca romana – dichiara, Tenente di vascello Daniele Proietto, comandante del Numana che incontriamo sulla sua nave ormeggiata alla Banchina Caboto nel porto di Gaeta – Il nostro compito, insieme al personale del Mibac, è quello di censire e aggiornare il database dei relitti già noti o cercarne di nuovi”. Il progetto è partito da Livorno agli inizi di giugno e lì, nelle acque della secca di Vada, oltre ai siti romani, sono state monitorate le condizioni di un relitto americano affondato durante la seconda guerra mondiale.
Ma è stato anche ritrovato un vascello mercantile risalente al ‘700. “Tra le isole Pontine abbiamo monitorato – aggiunge – dall’11 giugno, quattro siti di altrettanti relitti tutti di epoca romana che potevano aver subito danneggiamenti anche a causa delle reti da pesca. Le abbiamo trovate, invece, tutte in ottimo stato e ne abbiamo stabilito la giusta collocazione”. Gli strumenti sono all’avanguardia e la professionalità degli uomini della Marina Militare permette di realizzare una mappatura di quello che è un vero e proprio museo archeologico sommerso.

“I relitti, in questo caso, si trovano tra i 40 e i 60 metri di profondità, – spiega l’ufficiale – e non appena il sonar ne indica la presenza, interveniamo o con i palombari, o con uno dei nostri veicoli subacquei teleguidati capaci di realizzare immagini e riprese video. Tutto questo costituisce un ottimo addestramento per il nostro personale anche perché, cercare relitti è molto più complicato che cercare una mina”. La zona su cui il Numena sta operando è una delle più interessanti dal punto di vista dell’archeologia subacquea ed ha anche il grande pregio dell’acqua cristallina che permette alla luce di arrivare anche ai 60 metri in cui si trovano i relitti.
“E’ una condizione ottimale per studiarli – dichiara Annalisa Zarattini dirige del nucleo di archeologia subacquea del Mibac – E’ affascinante riscoprire sotto i mari le tracce dell’essere umano risalente a secoli precedenti. Dei vascelli, solitamente resta, a prima vista, ciò che trasportavano, principalmente anfore, e appena sotto la sabbia, protetta dalla stessa, la porzione di scafo in legno risparmiato dal mare. E’ impressionante constatate che, nonostante i secoli, molte cose nella navigazione non sono cambiate. Timone, ancore, particolari che si ritrovano ancora oggi sulle barche moderne”. Ma il mare che ha inghiottiti quelle imbarcazioni, oggi ne conserva gelosamente ed efficacemente i resti. “Si distruggerebbero se si tentasse un recupero – spiega la ricercatrice – Ecco perché è fondamentale monitorarli e studiarli a distanza realizzando immagini da mostrare alla gente per diffondere la conoscenza di questi enormi tesori dell’umanità. La marina mette a disposizione strumenti importantissimi; loro sanno trovare di tutto. Quello che stiamo facendo, la sinergia tra i due diversi ministeri, rappresenta una bella immagine del Paese e il nostro lavoro è invidiato in tutto il mondo. Ovviamente questa esperienza avrà un termine ma rimarrà nei marinai, la capacità di riconoscere un relitto e, nel corso della loro normale attività, alla ricerca di altro, quando ne incontreranno uno, lo potranno segnalare al Mibac”.
Er. Amedei

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