Quando Sergei Belov arrivò a Cassino, nell’ estate del 90, confesso che un po’ ci rimasi male.
All’ epoca ero un giovane cronista che seguiva la squadra di Basket del Presidente Sergio Longo sia per la televisione che per il maggiore giornale locale. Ma tutte le telecronache delle partite, in casa ed in trasferta, più centinaia di articoli non erano bastati. Venni a sapere dell’ arrivo di Sergei solo aprendo la Gazzetta dello Sport, che titolò l’evento a tutta pagina.
La società aveva fatto un colpo sensazionale, praticamente incredibile ed ovviamente non voleva bruciarsi in primo luogo l’evento a livello locale. Quindi priorità alla rosea e si arrangi chi può. A Cassino stava per arrivare quello che era stato il più grande giocatore europeo ed io non lo sapevo. Un buco clamoroso da giustificare non so come al giornale. Ma il fastidio durò solo qualche minuto. Poi fui preso dall’ entusiasmo della notizia. “Cristo – pensai – Sergei Belov al Cassino! “. La mente andò subito alle sfide da vincere contro gli avversari di sempre, al palazzetto di Cassino ribollente di tifo come non mai, agli scenari impensabili che si sarebbero aperti, magari la serie A.
Perché il Basket Longo era una squadra che militava per il secondo anno in serie B2 e, non avendo tradizioni consolidate, nella geografia della pallacanestro italiana era quasi zero.
Eppure Sergei Belov stava arrivando.
Fu il capolavoro del Presidente Sergio Longo e di suo nipote Umberto, che gestiva direttamente la squadra.
Sergej Belov era stato unanimemente il più grande giocatore non americano della pallacanestro mondiale. Nel 72’ aveva guidato alla vittoria l’ Unione Sovietica alle olimpiadi contro gli Stati Uniti. Un evento storico. Gli americani, gonfi di rabbia e di umiliazione, non passarono neanche a ritirare la medaglia d’argento. In seguito le squadre dell’ NBA avrebbero fatto carte false e promesse milionarie per farlo fuggire in America per giocare con celebrati campioni come Magic Johnson, Jabbar e Bird. Ma lui, maresciallo dell’ Armata Rossa, aveva sempre resistito. Nel 2007 si sono dovuti accontentare di inserirlo nella Hall of Fame, dove sono elencati i più grandi giocatori di tutti i tempi.
Certo nel 1990 i tempi erano cambiati. L’ Unione Sovietica si era liquefatta e Belov non giocava più. Ma era sempre l’allenatore del CSKA Mosca una delle squadre più titolate d’Europa.
Non si seppe mai veramente il motivo per cui Belov scelse di venire ad allenare a Cassino in serie B2. Si diceva che fosse stato parcheggiato qui dalla Juve Caserta, in attesa di formalizzare le pratiche per il patentino. Si parlava di ingaggio faraonico perché facesse crescere in fretta il settore giovanile del Cassino, perché il basket allora era comunque uno sport ricco. In realtà lui era contento di generare mistero o forse, da buon siberiano, si guardava solo in giro per capire in quale luna park fosse finito. Nel frattempo viveva con la famiglia in un appartamento di via Arigni e guidava con sobrietà la sua bianca Golf aziendale. L’avrò intervistato centinaia di volte ed ogni volta dicevo tra me e me: “Cavolo, questo è Sergei Belov!â€.
In realtà le interviste erano difficilissime per via della lingua. Lui rispondeva a monosillabi e l’ interprete faceva i salti mortali per toglierlo dall’ imbarazzo.
Credo di non aver mai conosciuto il vero Sergei Belov. Ma per lui parlava il campo dall’allenamento. Si dedicava per ore alla prima squadra ed alle giovanili
Poi allenamenti personalizzati per i più promettenti giovani. Peppe de Santis, Guido Gaveglia e soprattutto Furio De Monaco. Quest’ultimo in seguito fu ceduto per svariate centinaia di milioni alla Benetton Treviso. L’ operazione Belov si era dunque ripagata abbondantemente.
Ma Belov non riuscì nel miracolo di far vincere il campionato al Cassino. In tre anni ci andò vicino ma le difficoltà erano oggettive. Non avendo il patentino doveva sedere in tribuna ed il traduttore doveva portare gli ordini fino alla panchina. E nel basket può capitare di dover dare anche tre ordini al minuto.
Era veramente umiliante vedere il grande Sergei Belov relegato ai margini di un campo di gioco di un campionato di serie B2. Talvolta, in trasferta, il pubblico lo ingiuriava perché avversario. Talvolta, invece, gli arbitri ed i giocatori avversari gli chiedevano l’ autografo. Aveva vinto l’ impossibile, era stato eletto miglior giocatore in tre finali consecutive di Coppa dei Campioni, aveva avuto l’ onore di accendere il braciere olimpico alle olimpiadi di Mosca 1980.
Quel patentino non è mai arrivato. La federazione italiana non lo ha mai considerato all’ altezza di allenare in quarta serie. Così non sapremo mai se era vero che doveva andare a Caserta.
Quando andò via da Cassino andò a fare il presidente della Federazione Russa Pallacanestro e l’allenatore della Russia, vincendo due argenti ai mondiali ed un bronzo agli europei in sei anni.
Quando l’ho rivisto in televisione in panchina alle olimpiadi, ai mondiali ed agli europei, sono stato felice. Finalmente Sergei.
Sergei Belov è morto l’altro ieri a 69 anni. Un brutto male si è portato via il fuoriclasse siberiano che a Cassino aveva cercato la sua NBA.
Di MAX LATEMPA