Il messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale sulla pace richiama costantemente ai temi della solidarietà e della fraternità e interpella, secondo me, in modo particolare la nostra comunità cittadina che, avvicinandosi al pieno delle celebrazioni per il settantesimo anniversario della distruzione, potrebbe vivere una tappa importante di quel cammino di ricostruzione che, a mio avviso, è ancora da completarsi.
Il processo di ricostruzione di una comunità , soprattutto dopo un martirio come quello subito da questa terra, dovrebbe andare oltre il rifacimento delle costruzioni ed il funzionamento delle istituzioni. Dovrebbe aspirare alla ricostruzione di un tessuto sociale che consenta ad ogni individuo di sentirsi parte di un destino comune: lo è stato evidentemente per chi ha vissuto la guerra, può esserlo per chi voglia vivere in una comunità in cui la pace, il progresso, lo sviluppo, il miglioramento delle condizioni di vita di tutti sia obiettivo per cui ciascuno si senta impegnato e responsabile del proprio pezzo.
“Fraternità , fondamento e via per la pace”: se il Papa immagina questo per il mondo e lavora in questa direzione perché noi non possiamo immaginare che su questo orizzonte si possano porre le basi per un cammino di sviluppo e di rilancio della città ritenendo l’unità di cittadini e istituzioni “fondamento e via” per un futuro migliore? Soprattutto chi ha figli non può non porsi domande come queste.
Prima di gareggiare nella ricerca della migliore ricetta per rilanciare l’economia, lo sviluppo il progresso del nostro territorio bisogna capire che ogni progetto rischia di essere vano se non è animato dalla sforzo di tutti – cittadini e istituzioni – per lavorare in quella direzione. Se ci riconoscessimo come un’unica comunità in cui siamo capaci di unire gli sforzi all’interno di un progetto comune, mettendo al centro non le aspirazioni personali ma il bene comune, quale che sia il progetto, riusciremmo a realizzarlo.
Non si tratta di dare vita a reti o a coordinamenti, il falso mito degli anni novanta. Si tratta di individuare progetti condivisi, anche semplici, e sperimentarsi nel tentativo di un’opera in cui tutti si sentano responsabili e direttamente impegnati. Maggioranza e opposizione, università e chiesa locale, associazioni e scuole, famiglie e imprese. Lavorare insieme, anziché parlare e giudicare, ci aiuterebbe senz’altro a ricostruire quel tessuto sociale di cui abbiamo bisogno per trasformare questa città in una comunità in cui il progresso sociale ed economico sia bene comune davvero.
Una proposta. Molti si sono domandati cosa resterà alla città al termine di questo settantesimo anniversario. Alcuni forse pensavano ad un monumento, altri ad un museo per attirare turisti, altri chissà , forse ad una piazza. Siccome credo che sia giusto celebrare il passato ma ancora più giusto promuovere un futuro in cui ciò che di terribile è accaduto non accada più, ritengo che Cassino debba impegnarsi in un’opera di pace e di educazione alla pace, ampiamente condivisa all’interno e fortemente rappresentativa all’esterno. E quest’opera potrebbe essere un gemellaggio con una città del sud del mondo, una città o un villaggio africano a cui portare aiuto concreto, solidarietà , buone pratiche sociali e istituzionali, conoscenze e competenze in grado di riscattare la dignità di quella gente. Un progetto unico in cui ciascuno potrebbe essere protagonista di un pezzo importante: l’amministrazione comunale per un verso, l’università con il sistema formativo locale per un altro, le imprese per portare sviluppo, le associazioni per il progresso culturale, le famiglie, la diocesi… tutti.
Una operazione di questo genere darebbe un significato enorme al nostro settantesimo, darebbe notorietà in Italia e all’Estero, attirerebbe finanziamenti e lavoro, darebbe una vocazione di comunità e di progresso. Questa città ha bisogno di fare squadra.