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Gli studenti del I Istituto Comprensivo di Cassino intervistano Antonio Grazio Ferraro

Il rumore delle bombe, assordante e indimenticabile. Un carico di terrore pesante più dell’esplosivo. I passi dei cassinati in fuga, che correvano senza una direzione precisa e senza prendere fiato. Chi scelse l’area a nord di Cassino ebbe maggiori possibilità di salvezza. Chi invece si dirottò nella zona sud, finì inesorabilmente tra le braccia del comando tedesco e lungo la linea dei combattimenti. La famiglia di Antonio Grazio Ferraro scelse l’area sud e visse mesi terribili tra nascondigli bunker, prigionia e continui pericoli di morte. Era il 1943. Il terrore ebbe inizio il 9 settembre, il giorno dopo aver brindato all’armistizio Cassino si trasformò nei peggiori scenari di guerra di tutti i tempi.
Le immagini di quegli anni, i suoi dolori, la terra che bruciava macerie e morti, sono state ripercorse, con descrizione lucida e sofferente, proprio da Ferraro, “intervistato” per un giorno dagli studenti del Primo Istituto Comprensivo di Cassino. Sono stati loro, sabato mattina presso l’edificio laterale alla Chiesa Madre, a mettersi in fila sotto il palco e a porre domande precise al loro interlocutore. Una mattinata di dialogo e di scoperta che ben si incardina nella ricorrenza del Settantesimo anniversario della battaglia di Cassino e che riprende il libro-intervista realizzato proprio dai ragazzi dell’istituto di Cassino, guidato dalla dirigente Maria Rosaria Di Palma, che dieci anni fa intervistarono i loro nonni per confezionare una memoria storica in occasione dell’allora Sessantennale. Oggi quel testo dal titolo “I bambini di ieri e i bambini di oggi” è più che mai attuale e continua la sua missione di mantenere vivi pezzi di storia bellica che hanno attraversato queste terre. Ecco, dunque, l’idea di invitare un ospite eccezionale come Antonio Grazio Ferraro per continuare quel percorso di interviste e per ascoltare dalla sua viva voce come visse quei mesi così cruenti.
Domande e risposte che hanno permesso di conoscere episodi unici: quel primo segnale di allarme, il 9 settembre alle 4 del mattino, con centinaia di carri armati tedeschi dirottati nel Cassinate per fronteggiare la risalita alleata, la violenza delle battaglie, il ‘miracolo’ della notte di Capodanno del ’43, l’esodo dalla città, i bunker improvvisati, le ore precedenti al bombardamento di Cassino, quelle che videro tonnellate di bombe piovere dal cielo, quelle successive. E ancora, racconti personali intrecciati a racconti collettivi ma anche storie di coraggio, uomini capaci di gesti eroici.
Ma la guerra non finì con il cessare dei combattimenti. La ricostruzione fu lunga e dolorosa. Le vittime degli stenti e della malaria popolavano una città spettrale. Il popolo cassinate man mano tornava nelle sue terre, intonava Requiem tra le lacrime uniti al forte desiderio di “ricominciare” a vivere. E a motivare un sempre crescente fermento ci fu la fede e l’affidamento a San Benedetto. Diversi i personaggi che si distinsero. Prime fra tutte le “Parrelle”: donne energiche e volenterose che accompagnarono gli uomini nella ricostruzione, donne capaci di una forza fisica inusuale. Ma nella memoria di Ferraro restano impressi anche gli “scalpellini” che la domenica notte partivano dalla Valcomino a piedi per raggiungere Montecassino e lavorare la pietra della facciata dell’abbazia. Tutti contribuirono a lasciare ai posteri l’immagine di un popolo diventato un esempio per la Nazione, per l’Europa, per il mondo intero.
L’ospite d’eccezione che i bambini delle classi quinte e prima media hanno avuto davanti a loro sabato mattina incarna una storia di lungo corso. Alla classica definizione di “sopravvissuto” alla barbarie bellica si aggiunge l’habitus di chi ha sentito addosso il compito-dovere di rimettere in piedi non solo la sua città ma anche la pace tra i popoli che l’avevano attraversata, scontrandosi nel sangue. Ed ecco il suo successivo impegno politico da consigliere, assessore e da sindaco di Cassino per ben cinque mandati. Un lungo periodo di attività politica, quasi quarant’anni, che lo ha visto convinto assertore dell’unità europea e fervente uomo di Pace. Promosse incontri, a livello europeo e mondiale, con città distrutte dalla guerra, e realizzò i primi gemellaggi. Furono àncore di pace gettare nel mare delle differenze, tentativi capaci di riaffermare il dialogo con città come Berlino (1959) con la quale strinse il primo “Patto”, nonostante venne tenuto prigioniero proprio per mano tedesca. «Io lo chiamo un “miracolo di San Benedetto” – ha affermato dal palco – che ci ha dato questo indirizzo di pace, lo stesso che oggi ascoltiamo da Papa Francesco quando insiste sulla parola Riconciliazione».
Inevitabile nel finale un monito a quei giovanissimi ascoltatori affinché il fiore della speranza e della libertà venga sempre coltivato.

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