di Max Latempa
Guardare al passato per scoprire come andrà il futuro. La storia insegna e si ripete. Sempre. Soprattutto poi quando c’è di mezzo la Germania.
All’indomani del voto europeo il quadro appare sempre più chiaro, delineato nella successione di eventi che il nostro continente ha già dovuto subire e patire per ben due volte nell’ultimo secolo.
Ora la storia si ripresenta, crudele, inesorabile col suo carico di vittime.
Qualcuno dirà che è azzardato proporre il parallelismo con la prima guerra mondiale, la seconda e la situazione attuale. Invitiamo dunque costoro al seguente ragionamento.
L’ atavica bramosia tedesca di dominare il continente è innegabile. E’ un fatto storico, culturale, geografico, economico. I tedeschi sono il popolo più numeroso in Europa, stretti in un territorio che li opprime ad est dall’insuperabile presenza russa, ad ovest dalla Francia e la sua grandeur, a sud dalle Alpi ed a nord dal troppo ristretto mar baltico-mare del nord. Un popolo abituato a pensare in grande ma costretto in un territorio inadeguato.
Attardata nella corsa alle colonie, la Germania ha dovuto farsi largo in Europa per trovare ossigeno, un’ alternativa alle miniere della Ruhr o ai campi di patate.
Con la forza delle bombe e dei panzer ha tentato due volte di imporre l’imperativo del suo inno nazionale: Deutschland uber alles, la Germania sopra tutti.
Lutti e tragedie hanno segnato il secolo scorso, indicibili pene sono state inferte a tutti i popoli che l’hanno contrastata. La Germania, due volte sconfitta, decimata, umiliata, mutilata e divisa, è ora ritornata.
Fondatrice della CEE, ha svolto un ruolo paritetico fino al 1990. Poi, ecco la svolta. Con la caduta dell’ Unione Sovietica, la Germania ha rotto le catene che la imbrigliavano, che la tenevano in gabbia come una bestia feroce. La riunificazione il primo passo. Poi la lenta ed inesorabile presa di possesso delle istituzioni europee. La mutazione di CEE in Unione Europea è sembrata calzare a pennello. Le nazioni si spogliano progressivamente della sovranità nazionale ed a Bruxelles qualcuno decide per tutti. Il modello giusto da seguire sembra sempre quello teutonico, rigoroso, efficiente e funzionante.
Ora la guerra per il dominio non si combatte più con le bombe. Ma con l’economia. Che fa comunque milioni di vittime silenziose.
Ed infatti la Germania, tenuta in piedi nel dopoguerra dalle multinazionali e dai fondi americani, ora è una locomotiva industriale che viaggia a ritmi altissimi. Ma l’ ossigeno manca sempre di più. I prodotti si devono pur vendere ed il marco è troppo forte. Italiani e francesi hanno una moneta più elastica ed esportano alla grande. Allora viene pensato l’ Euro. Una moneta unica che permetterà ai tedeschi di vendere i loro prodotti in tutta Europa con lo stesso cambio. I prezzi raddoppiano in pochi mesi ma ci sentiamo tutti ricchi. Ed i tedeschi inondano il resto dell’Europa di supermercati e vetture utilitarie a prezzi che prima, con la lira ed il franco, non avrebbero mai piazzato a tutti.
Da prodotto di nicchia il Made in Germany diventa prodotto di massa. Le nuove colonie si chiamano Polonia, Romania, Repubblica Ceca e Slovenia. Da lì partiranno gli attacchi alle aziende continentali che ancora resistono alla grande Germania. L’allargamento ad Est della UE regala finalmente alla Germania spazio vitale e anche manodopera a basso costo.
Allargamento che rimane invece tutt’ora una decisione inconcepibile per chi ha ancora un suo Sud sottosviluppato (Italia, Spagna, Gran Bretagna, Grecia, Portogallo).
Come negli anni trenta la Germania prepara il suo piano d’attacco scegliendosi gli alleati che poi finiranno stritolati. Prodi e Berlusconi, Sarkozy ed Hollande, Major e Cameron, Aznar e Zapatero.
L’ attacco degli spread e della crisi ha decapitato via via questi governi, complici del diktat del rigore e dei sacrifici di bilancio. Dalle macerie dell’economia europea doveva stagliarsi solo la sagoma della locomotiva tedesca. E così è stato. Ora tutti gli altri si attacchino come vagoncini.
Il capolavoro è compiuto. Il voto ha premiato solo la Merkel. Tutti gli altri hanno perso. Ora il PPE avrà una maggioranza schiacciante di parlamentari tedeschi. L’ opposizione socialista ha invece un capo che si chiama Schultz, anche lui tedesco. Il presidente della commissione si chiamerà Juncker, lussemburghese di origini tedesche.
Però la storia insegna e si ripete.
Hitler pensava alla sua grandezza sorseggiando il te sotto alla torre Eiffel.
Credeva di avercela fatta. Come venti anni prima, quando il Kaiser arrivò a 40 km da Parigi e fu fermato sulla Marna.
Invece l’ Europa libera si riorganizzò. L’ indomita Gran Bretagna fu la prima, poi la Francia, che fece i conti con i suoi traditori. Infine arrivarono gli Stati Uniti e la Russia.
Dopo queste elezioni europee, abbiamo la Merkel che ha preso autoritariamente in mano l’ Europa.
Deutschland Uber Alles, finalmente.
Ma le elezioni hanno anche detto che vi sono già dei nuovi Churchill e De Gaulle che si battono per contrastarla. E milioni di nuovi partigiani che hanno votato contro o non sono proprio andati a votare, delegittimando il sistema. Sommandoli, sono il 70% dei cittadini europei.
Dall’ America, il Presidente Obama ha già prospettato il Transatlantic Trade Partnership, l’ accordo di libero scambio tra Europa e USA. Un progetto insostenibile con una moneta come l’ Euro. Un missile che farà esplodere il castello di Bruxelles. Il mercato americano è troppo goloso per andarci tutti come tedeschi.
Ed ora a noi.
Renzi, da che parte starai?