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Il mestiere della balia quando le “mamme di Veroli” erano richieste in tutta Italia

E’ madre di sette figli ed è stata anche mamma “supplente” di altri 8 bambini. Agata Mastracci, 88 anni di Veroli, è una delle ultime balie che hanno contribuito a rendere celebre la cittadina Ciociara. Corpulente, dai grandi seni, con vesti lunghe e fazzoletto ai capelli, è l’immagine che per anni ha rappresentato le donne di Ciociaria, madri per eccellenza. “Tanto madri” che, addirittura venivano assunte per crescere i figli altrui lasciando la propria famiglia, anche per anni, per vivere nella casa dei bambini di cui si dovevano occupare. Non era scarsa attenzione per i propri figli, era una necessità per assicurare loro il benessere economico. “Ho voluto bene a tutti, indistintamente, come fossero tutti miei figli”. Racconta Agata da vicino al suo caminetto nella casa di Veroli. Lucida, come quasi nessuno alla sua età, ricorda i dettagli della sua vita passata a crescere i propri figli ed anche quelli degli altri.

“Le balie – spiega – si dividevano in balie da asciutto e quelle da latte. Le prime accudivano i neonati in tutto, dando loro il latte dal biberon. Quelle da latte, invece, allattavano i bambini dal proprio seno e queste venivano pagate anche molto di più”. Oggi il termine balia non è più associato ad una professione, sostituto da badanti, governanti, educatrici; un tempo, però, a Veroli, nel cuore della Ciociaria dove la principale attività era l’agricoltura, le donne erano tra le più apprezzate ed anche tra le più pagate per svolgere il ruolo di mamma supplente. Una definizione che, a sentire il racconto di Agata, va stretto.

“Mi occupavo dei bambini che accudivo, in ogni momento della giornata e della notte. Provvedevo a tutto, al nutrimento, a lavarlo, a farlo giocare, a rassicurarlo dopo gli incubi notturni, a piangere disperata insieme a lui quando stava male”. Agata ha avuto il suo primo incarico a 38 anni. “Ero sposata e avevo già tre figli, l’ultima di 4 mesi, la figlia più grande di 12 anni. Era lei che si doveva occupare dei suoi fratelli a casa quando non c’ero io. Quella prima volta è stata l’unica in cui ho fatto la balia da latte ad una bambina di Palermo. La mia bimba la lasciai ad allattare ad una vicina di casa alla quale pagavo una piccola somma, sicuramente molto meno di quanto guadagnavo io”.

Una balia da latte, infatti, guadagnava circa 18mila lire al mese, quella da asciutto 15 mila lire. Parliamo di 50 anni fa, in un territorio a vocazione agricola. Il marito di Agata, Silvio Gabrielli, oggi 91enne e costretto al letto, era agricoltore e la sua attività certamente non gli permetteva di guadagnare quanto guadagnava la moglie. A Palermo Agata ha allattato e cresciuto il figlio di un dottore e di una professoressa. “Mi trattavano bene – ricorda – ma mangiavano sempre pesce e a me non piace. Dopo un anno dissi che volevo tornarmene a casa e la madre insisteva perché restassi. Di fronte alla mia fermezza, mi chiese se ero disposta a portarmi la figlia a Veroli. Una follia, le dissi. La nostra casa non era propriamente accogliente e certamente diversa da quella a cui la bambino era abituata”.

Un anno era il periodo minimo stabilito dal contratto. Al di là di quello che si possa pensare, infatti, gli accordi erano regolarizzati da un contratto standard che prevedeva per le balie, dei diritti e dei doveri ben precisi. A fare incontrare ‘domanda’ ed ‘offerta’, cioè genitori in cerca di balie e la balia giusta, c’era una terza figura, la “sensale” una sorta di agente delle balie. Di solito era stata lei stessa una balia e per questo conosceva l’ambiente ma troppo anziana per assistere ad un bambino. Lei permetteva il raggiungimento dell’accordo facendo sottoscrivere il contratto che prevedeva almeno un anno passato ad accudire il bambino a casa dei genitori, eccezion fatta di 5 giorni al mese per tornare dalla propria famiglia. La balia, oltre allo stipendio mensile, aveva diritto a quattro vestiti, quattro capi intimi, quattro scarpe ed anche quattro oggettini d’oro. La sensale, per il suo lavoro riceveva metà primo stipendio dalla balia, e la stessa cifra dai genitori.

“La balia, – ricorda Agata – per contratto si doveva occupare solamente del bambino e al massimo pulire la sua cameretta. Io ero molto apprezzata perche spesso cucinavo. Chiunque apprezzava gnocchi e tagliatelle fatte a mano”. Buona parte della sua attività professionale l’ha vissuta nella casa dell’ex ministro Francesco De Lorenzo a Napoli, dove ha cresciuto due nipoti. “Mi venne a prendere a casa la prima volta con la macchina. Sottoscrivemmo il contratto di un anno ma rimasi a casa della sua famiglia per cinque anni perché dopo il primo nipote arrivò la nipotina. Io me ne ero già tornata a Veroli, lui venne nuovamente a prendermi dicendomi: ‘Hai cresciuto il primo mi devi crescere anche il secondo nipote”. La balia seguiva gli spostamenti della famiglia. “Mi portarono per 11 mesi in America, e in quella circostanza, oltre a 50mila lire al mese, mi propose anche un regalo; voleva comprare la moto nuova a mio marito ma io gli dissi che erano meglio i soldi perché dovevamo fare la casa nuova. Mi regalò centomila lire con cui iniziammo a costruire le fondazioni. Mi portarono anche in Danimarca, Olanda e tantissime volte a Pescasseroli e a Capri”. Quando i bambini crescono si dimenticano di loro. “Fino a qualche anno fa, mi chiamava il nipote dell’ex ministro, poi non l’ho sentito più. Ma è normale che sia così”.

Un lavoro ormai dimenticato o che, quantomeno, si chiama diversamente e lo si fa diversamente. Ma chi erano i genitori che si rivolgevano alle balie? “Era gente per bene, ricchi possidenti, spesso anche le donne lavoravano, o comunque assumevano la balia da latte per non “sciupare” il proprio seno. Se lo consiglierei ad una figlia o ad una nipote? Certamente – conclude Agata – a me hanno sempre trattato bene e mi hanno sempre rispettata ma anche perché, almeno un tempo, si guadagnava bene. Tutto può essere semplice o difficile, dipendi come affronti la cosa. Il segreto per essere una buona balia è stare attenti ai bambini, voler loro bene come i propri figli”.

Ermanno Amedei

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