Mario Corsetti è morto. E’ morto e ci ha lasciato il “compagno Mario Corsetti” un uomo che ha attraversato i suoi anni con la consapevolezza che soltanto nel rapporto onesto e disincatato verso gli altri si può e si deve trarre gioia e la forza per andare sempre avanti. Mario Corsetti nasceva da una antica famiglia di tipografi della operosa Valle del Liri e per anni a Cassino è stato il punto di riferimento di studenti e tecnici ed affezionati. Infatti nella sua copisteria, una delle prime di Cassino, incontrava le persone, le accoglieva e talvolta le rimandava indietro. Il motivo era semplice: lui annusava il “vero comunista”, lui , che nel negozio aveva una gigantografia di Che Guevara, era schietto, non lo potevi fermare e non mediava dinanzi le sue ragioni … era come se prendesse ogni giorno in mano un megafono e cominciava il suo canto di lotta!
Per Mario il comunismo era un SENTIMENTO e con tale affettuoso aggettivo siglava le tessere di partito che riusciva a far firmare di anno in anno. Tutta la sua vita è stata un fatto sentimentale: gli amori, i figli , i nipoti, i dispiaceri e le amicizie. Sposava le cause, creava rapporti, si preoccupava di ogni padre di famiglia disoccupato, fermava i sindaci ed i politici e scioglieva loro un rosario di buone intenzioni e suggerimenti coloriti. Non si fermava mai e davanti a tutti accendeva le sue eterne ed infinite sigarette, mordicchiava le labbra ed i baffi e ascoltava. Sì, Mario Corsetti sapeva ascoltare e, crescendo prima ed invecchiando poi, era il solo che dedicava interi pomeriggi ad imparare dai ragazzi per poi racchiudere il senso del suo parlare in un consiglio solo: vivere sempre nella ricerca del piacere di essere vivo. Ed ora, per salutarti caro Mario, ci tocca prendere in prestito alcue parole da Francesco Guccini perchè le lacrime non smettono e lavoce preferisce un’altra sigaretta.
Buon infinito, AMICO MIO!
(D.S.)
Ora Van Loon si sta preparando
piano al suo ultimo viaggio:
i bagagli già pronti da tempo
come ogni uomo prudente,
o meglio, il bagaglio, quello consueto
di un semplice o un saggio,
cioè poco o niente, e andrà davvero
in un suo luogo o una sua storia
con tutti i libri che la vita gli ha proibito
con vecchi amici di cui ha perso la memoria
con l’infinito, dove anche su quei monti nostri
è sempre estate,
ma se uno vuole quell’inverno senza affanni
che scricchiolava in gelo sotto le chiodate
scarpe di un tempo, dei suoi diciott’anni.
(F. Guccini, Van Loon)