Roma – Occupare il parcheggio riservato espressamente a persona disabile, d’ora in avanti rientrerà nel reato di violenza privata. Lo ha stabilito una sentenza della Corte di Cassazione n. 17794/17 depositata lo scorso 7 aprile. Quando lo spazio per il parcheggio è espressamente riservato ad una determinata persona affetta da disabilità , alla generica violazione della norma sulla circolazione stradale si aggiungerà , l’impedimento al singolo cittadino a cui è riservato lo stallo di parcheggiare lì dove solo a lui è consentito lasciare il mezzo. Pertanto, colui che mette in atto tale condotta è punibile per il reato di cui all’art. 610 c.p., ossia per violenza privata. Così si è espressa la Corte di Cassazione. La pronuncia della Corte nasce dalla condanna di un automobilista emessa dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello di Palermo.  Quest’ultima, infatti, confermava la sentenza del Tribunale che condannava l’imputato in quanto colpevole di aver parcheggiato la propria autovettura in uno spazio riservato alla persona offesa affetta da gravi patologie, impedendole così di utilizzarlo fino alla rimozione della sua autovettura. L’imputato aveva promosso ricorso per cassazione. I Giudici di legittimità , però, hanno ritenuti sussistenti, nel caso di specie, sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo del reato. In particolare, affermano che «quando lo spazio per il parcheggio è espressamente riservato ad una determinata persona, per ragioni attinenti al suo stato di salute, alla generica violazione della norma sulla circolazione stradale si aggiunge l’impedimento al singolo cittadino a cui è riservato lo stallo di parcheggiare lì dove solo a lui è consentito lasciare il mezzo». In tal senso, si ritiene sussistente l’elemento oggettivo. Non solo, nella fattispecie, l’imputato ha preso visione della segnaletica e ha volutamente scelto di lasciare l’autovettura in un posto riservato ad una specifica persona, impedendole, in tal modo, di parcheggiare nello stesso spazio e lasciandovi l’autovettura fino al giorno successivo.
La condotta messa in atto dall’imputato integra, quindi, il reato di violenza privata. Pertanto, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
F. Pensabene
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