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Fiat di Piedimonte, il grande bluff per 530 giovani conseguenza di leggi create ad hoc

La vicenda degli oltre 530 licenziamenti allo stabilimento Alfa Romeo di Piedimonte San Germano con le inevitabili ricadute anche sull’indotto, riporta drammaticamente, e sulla pelle di 538 giovani lavoratori, delle loro famiglie, alla ribalta un problema ormai cronico e ultra decennale sul modo di fare imprenditoria nel nostro Paese i cui risvolti drammatici si sono accentuati soprattutto sul nostro territorio e da tutti conosciuto da sempre, in particolare dalla classe politica della nostra zona. Oggi però, si sentono in dovere, un dovere solo di facciata ed ipocrita, di rammaricarsi, di dettare soluzioni per arginare il risultato negativo della vicenda a suon di comunicati stampa e di dichiarazioni ufficiali su quanto sta succedendo. Un’ipocrisia senza pari che coinvolge tutti, senza esclusione alcuna, che riguarda parlamentari nazionali, europei e regionali eletti in questo territorio. Tutti pronti ad applaudire il rais dell’imprenditoria, Sergio Marchionne, pronti a fare selfie, a dispensare sorrisi ed ottimismo. A questi ipocriti sarà bene ricordare che molti di quei giovani non si sono mai assentati, non hanno mai rifiutato, in tutto il periodo, un anticipo turno, un’ora di straordinario, molti di loro sono andati a lavorare anche in condizioni di salute precaria per non perdere quel posto di lavoro. Ed ecco come i vertici dell’azienda e la politica li ha ripagati. Comunicando loro con un sms o con un laconico comunicato aziendale che non servivano più. Un metodo ignobile, un modus operandi, a cui FCA ha fatto ricorso la scorsa settimana, ma a cui ci ha abituato negli ultimi anni, soprattutto dopo l’avvento dell’era Marchionne. La pochezza del management FCA si è manifestata ancora una volta toccando direttamente i lavoratori giovani del nostro territorio che confidavano, da inguaribile ottimismo giovanile come è giusto che fosse, che serietà e professionalità sarebbero state apprezzate e meritevoli di futura attenzione. Illusione vana. Chi ha lavorato in industrie private sapeva benissimo, purtroppo, che non era così. Gli imprenditori come Marchionne sapevano bene cosa avevano in mente, grazie a leggi ad hoc servite negli ultimi anni dalla classe politica che si è avvicendata alla guida del nostro Paese. Basta pensare all’abolizione dell’art. 18, alle disposizioni capestro del Job Act, in cui venivano annientati i diritti dei lavoratori in nome della modernità, delle richieste di riforme da parte dell’Europa, dicendo “…è l’Europa che ce lo chiede…” e altre balle del genere. I criteri di scelta in realtà erano e sono ben altri, e gli spostamenti di alcuni lavoratori negli ultimi giorni ne sono la prova.

Se era l’Europa a chiederci quelle riforme capestro allora la politica dovrà spiegarci come mai, in Germania, a Wolfsburg, i lavoratori del più grande stabilimento Volkswagen del mondo, quell’azienda che alcuni anni fa voleva rilevare proprio l’Alfa Romeo e che di recente ha fatto piazza pulita di chi aveva truccato i sistemi di controllo delle emissioni, hanno ricevuto quest’anno, in busta paga, un premio di compartecipazione agli utili del 2016 pari a 3.950 euro ciascuno. Volkswagen è un’azienda a vocazione industriale che non regala il proprio denaro. Semplicemente ha capito che un’azienda deve investire sul capitale più importante, il capitale umano, riconoscendo il ruolo determinante di chi, di fatto, produce le autovetture. I 3.950 euro, per Volkswagen, sono stati un intelligente investimento, non un regalo.Il management Volkswagen non è il management FCA, da Marchionne in giù, fino all’ultimo team leader.

FIAT, FCA, ALFA ROMEO, invece, hanno preferito la delocalizzazione per pagare sempre meno i lavoratori sfruttandoli con turni massacranti in nome della produzione, mascherata dalla produttività, ma che in realtà aveva un obiettivo chiaro ed ignobile: lo sfruttamento dei lavoratori eliminando loro tutte le garanzie, trasferendo la sede in Olanda per pagare meno tasse. In realtà si è trattato di un’operazione finanziaria non di un’azienda industriale. Una scaltra società finanziaria da parte di un Amministratore Delegato residente in Svizzera. Questa operazione finanziaria utilizza, per non perdere l’italianità di cui tanto si vanta, forza lavoro a basso costo nel nostro Paese, grazie a leggi che glielo consentono. I lavoratori di FCA di Piedimonte San Germano, come quelli di molte altre realtà dello stesso gruppo, erano tutti assunti attraverso agenzie di somministrazione di lavoro temporaneo (un tempo detto lavoro interinale), in base a una legislazione, pur modificata, risalente a più di vent’anni fa. Nel mancato rinnovo di 538 contratti su 800 (comunque a tempo)l’imbroglio vero era legato alla promessa di 1.800 posti di lavoro da parte di un ex premier che è venuto allo stabilimento di Piedimonte a fare campagna elettorale per una riforma costituzionale, poi bocciata dai cittadini, creando illusioni in una devastata area del mezzogiorno, ma tenendosi lontano dalle domande dei giornalisti durante il suo intervento, relegandoli in sala stampa. Ora che quell’ex premier gira la Penisola con il suo treno dovrebbe venire a spiegare a quei 538, ma anche agli altri 300 che resteranno fino a gennaio, dove sono andati a finire quei 1800 posti di lavoro che lui e Sergio Marchionne avevano promesso. Dovrà farlo guardandoli negli occhi senza trovare la scappatoia che è colpa delle leggi di mercato, perché quei ragazzi che hanno creduto alle sue illusioni hanno un unico problema: quello di assicurare il mantenimento delle loro famiglie, dei figli, e hanno tutto il diritto di sapere cosa ne sarà del loro futuro. A loro non interessano le chiacchiere sulle “leggi di mercato”. Quell’ex premier, che continua ad ostentare ottimismo, propinandoci dai suoi Tg dati positivi sulla crescita, sulla crisi occupazionale in ripresa e altre fandonie del genere, a cui nessuno crede, compresi quegli 800 che oggi si ritrovano senza lavoro. L’ex premier dovrà spiegare che ne sarà del futuro di quelle famiglie e di quelle dei lavoratori dell’indotto. Sono queste le risposte che la politica nazionale, europea e regionale dovrà dare nei prossimi mesi senza altri tentennamenti e, soprattutto, senza ulteriori fandonie. Bisognerà fermare Marchionne e la sua idea di azienda e solo la buona politica potrà farlo. Cominciando ad eliminare l’assistenzialismo di cui si è sempre nutrita buona parte dell’imprenditoria italiana. Basta regalare soldi e agevolazioni a questa finanziaria olandese, subendo, inoltre, la beffa di un Marchionne che, severamente, ribadisce come FIAT non debba nulla allo Stato.Fiat deve tutto all’Italia. Restituisca il maltolto di decenni di facilitazioni, soldi a fondo perduto, ammortizzatori sociali personalizzati, regalie di terreni e fabbricati e via discorrendo, senza contare la chiusura di stabilimenti in attivo come l’Irisbus di Avellino. Sarebbe già un risultato importante, ma bisogna avere la volontà politica di raggiungerlo, non è più tempo di rinvii e di proclami sterili, ma di atti concreti una volta per tutte!

F. Pensabene

 

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