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“Ciociara col Mandolino”, la superba opera di Corot torana a casa restaurata

FROSINONE – Può sembrare incredibile ma è arduo rinvenire tra le centinaia e centinaia di artisti pittori e scultori europei tra fine 1700 e inizi 1900 uno che non abbia raffigurato un ciociaro o una ciociara. E’ in quegli anni, verso la fine del 1700, che era iniziata la vistosa e costante trasmigrazione di umanità da certe contrade e frazioni di paesetti della Valcomino verso Roma, di conseguenza lo spettacolo dei ciociari nelle loro vestiture  colorate e smaglianti era attuale in ogni momento della giornata, come lo era la presenza di centinaia di artisti da ogni parte d’Europa: a questi si aggiungano gli arrivi giornalieri di pellegrini e di visitatori: affianco alle quotidiane celebrazioni e manifestazioni liturgiche, la Roma dei Papi è stata nella sua lunghissima esistenza un incredibile agglomerato cosmopolita di accoglienza e di ristorazione e di altri svaghi come nessun altro al mondo.

Arduo a immaginare che non poche pagine sarebbero necessarie per elencare i nomi degli artisti che hanno ritratto o scolpito il personaggio in costume ciociaro: qui ci soffermiamo su uno in particolare e per due ragioni: la prima è che in questo periodo sta avendo luogo a Parigi per poi proseguire a Washington fino a dicembre, la esposizione delle opere che illustrano le sue modelle e poi perché in Ciociaria è approdato il dipinto veramente spettacolare e superbo qui presentato (in foto): ne abbiamo dato la prima informazione alcuni mesi addietro, ora che è stato ripulito e restaurato lo presentiamo in tutta la sua bellezza. Stiamo parlando di Jean-Baptiste Camille COROT (1796-1875), gigante della pittura europea dell’Ottocento. Questo dipinto fu una delle tante opere realizzate alla fine della sua carriera verso il 1860-70 allorché la vena della figura femminile lo tenne occupato quasi prevalentemente tanto che gli studiosi registrano che negli ultimi tre-quattro lustri realizzò non meno di trecento opere con donne in primo piano nelle varie acconciature e contesti, in prevalenza nello studio e in prevalenza in abiti tradizionali, greci, orientali e in gran parte ciociari o poeticamente ciociari: infatti l’artista aveva accumulato nel suo studio un ricco assortimento di abiti femminili tra i quali spiccavano quelli che lui chiamava romani o italiani  e che in realtà erano ciociari. Il dipinto qui presentato è in abbigliamento direi tipico, canonico dunque, come poche opere della produzione femminile realizzata nello studio parigino: fatta eccezione di alcune in contesti e in vestiture particolari e di poche opere di donne in abiti greci o orientali o gitani, le altre, la totale maggioranza, ritraggono donne in inappuntabili abiti ciociari o in abiti abbinati in modo poetico cioè vestiture che si distinguono per eclettismo e fantasia negli accoppiamenti e nel cromatismo. Nel dipinto qui presentato la componente folklorica è filologicamente inappuntabile, come lo sono una ventina di altri suoi dipinti, canonici in ogni elemento fino alla collana di corallo al collo e ai pendagli agli orecchi e alle cioce ai piedi: a terra giace un tamburello, che equivale alla firma quasi di una ciociara, secondo la tradizione. In mano, al contrario, tiene un mandolino, uno strumento caro all’artista che molto spesso accompagna alle tante donne ritratte e sul capo una tovaglia più di fantasia che di realtà che analoga pure ritorna parecchie volte nelle sue opere.

Se si eccettua il privato collezionismo, ben si sa che l’Italia ha totalmente ignorato le opere dell’ottocento europeo, per non citare quelle impressioniste, per cui i musei e gallerie nazionali sono in generale privi di tali espressioni artistiche e documentarie. Per cui ben volentieri si registra la presenza, in Ciociaria, di questo veramente straordinario dipinto di donna ciociara di Corot, uno dei rarissimi dell’artista in Italia.  Bello e anche quasi doveroso sarebbe se un ente pubblico o privato si facesse civile e intelligente promotore della iniziativa di offrirlo in visione e gratificazione alla comunità!

Michele Santulli

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