ATTUALITA’ – L’editoria affonda, il giornalismo anche e l’informazione diventa la semplice ricopiatura o “copia e incolla” di comunicati. In poche settimane la chiusura del quotidiano “La Provincia” nel Frusinate e dell’agenzia stampa regionale Omniroma, ampliano lo spaccato già drammatico sull’editoria, ma i motivi di chiusura delle due testate mostrano quale è il vero male del settore: i finanziamenti pubblici. In un caso, infatti, non erano arrivati, mentre in un altro, non erano stati sufficienti.
La sopravvivenza di un’azienda, quindi, non è legata così come dovrebbe essere ai “clienti” che ne comprano il prodotto o il sevizio, ma a “rubinetti” che si aprono o si chiudono a seconda di logiche spesso di convenienza se non addirittura legate ad amicizie o vicinanze politiche. Può essere mai sano un sistema editoriale che radica in questo le sue fondamenta? Può mai essere credibile la linea editoriale di un giornale che sopravvive in base al flusso di finanziamenti decisi dalla politica (la stessa che il giornale deve controllare per criticarne l’operato se occorre)? Decidetelo voi ma sappiate che non esiste un ufficio pubblico, al cui interno lavorano impiegati pubblici, preposti a vagliare in maniera indipendente le richieste di sostegno alle aziende editoriali. Per accedere a questi aiuti, bisogna passare per la segreteria di un esponente politico che ti indirizza al “rubinetto”. Poi si deciderà di aprilo o meno, ma già l’idea di dover bussare alla porta di un politico appare malsana.
Il principio di dover garantire la pluralità dell’informazione, che avrebbe ispirato i finanziamenti all’editoria, potrebbe essere ugualmente valido e rispettato se si contribuisse alle spese di gestione, anche e pur solo tecnologica, delle piccole realtà editoriali; dalle spese per la gestione dei server, domini, o ammodernamenti di apparati tecnologici.
Noi del Il Punto a Mezzogiorno crediamo che così come un commerciante o un artigiano a fine serata deve fare i conti con ciò che i clienti gli hanno permesso di mettere in cassa, alla stessa maniera i giornali devono vivere della “vendita” dell’informazione ai lettori e, al massimo della pubblicità. Già questa, la vendita della pubblicità, un tempo veniva considerata un compromesso a volte poco accettabile ma regolato o controllato dal fattore “vendite dei giornali”: se i lettori trovavano la linea del giornale sbilanciata, lo punivano non comprandolo più.
Oggi che l’informazione è gratis sui siti internet e che i giornali che si reggono lo fanno solamente grazie ai finanziamenti pubblici e pubblicità, viene meno quel fattore di controllo che faceva bene al giornalismo stesso ma soprattutto permetteva una informazione intellettualmente onesta. Con questo sistema l’informazione passa; arriva al lettore e ne condiziona il pensiero, ingannandolo quando l’informazione è falsa o raccontata in maniera tale da lasciar credere cose diverse da quelle che in realtà sono.
Tutto, quindi, è diventato come la Rai. Piaccia o non piaccia, credibile o non credibile, l’informazione della Tv di Stato continuerà a ricevere i finanziamenti derivanti dal Canone Rai il cui pagamento, però, non è una scelta dell’ascoltatore, ma un obbligo. Ci si chiede perché la privatizzazione in Italia ha toccato tutti i settori, anche quelli più strategici come la telecomunicazione, l’energia, i trasporti, finanche l’acqua e la Sanità, ma non l’informazione della Tv di Stato.
Quindi la domanda è legittima: i finanziamenti pubblici all’editoria sono un mezzo per garantire la pluralità dell’informazione o per esercitare un controllo su di essa da parte della politica?
Ecco perché l’informazione deve essere un servizio pagato dal lettore. Il lettore, così come compra il pane, i servizi telefonici, quelli delle pay tv, deve pagare l’informazione e, così come per le altre cose, interrompere il contratto quando il servizio non lo soddisfa.
Con gli abbattimenti dei costi grazie ad internet, basterebbero pochi euro al mese da ciascun lettore per sostenere il settore dell’editoria conservandolo indipendente dalle forze politiche. Pensate, a Il Punto a Mezzogiorno che, nel suo piccolo, mediamente fa quattromila visitatori unici al giorno, basterebbe che ciascuno di quei 4mila desse un euro al mese per dare la possibilità a chi attualmente lavora con impegno, ma comunque in forma volontaria, a percepire uno stipendio che darebbe la possibilità di dedicare al giornale più tempo per aumentare la copertura di notizie. Ed è questa l’unica strada per contrastare anche le fake news. Se pubblicassimo articoli “bugiardi” solo per calamitare click, come ritorsione il lettore potrebbe decidere di non “comprare più informazione da questo negozio”.
Per questo, chi volesse contribuire <strong>gratificando il nostro lavoro</strong>, può farlo con versamenti, lo ripetiamo, fosse anche solo di <strong>un euro</strong>, sostenendo Il Punto a Mezzogiorno con una donazione volontaria.
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Ermanno Amedei