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Il mistero del riccio e dell’allodola nella Cripta di Montecassino

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CASSINO – Un porcospino e un’allodola scolpiti nella cripta di Montecassino, narrano una storia conosciuta a pochi e che riconducono al vero autore preziosi e ammirati manufatti custoditi nell’abbazia: a Luigi Ricci, uno scalpellino locale che lavorò nella cripta tra il 1899 e il 1913.

Forse ispirato dal nonno o per semplice casualità, Pompeo Ricci, oggi 70enne, nipote dell’artigiano, iniziò delle ricerche quando un anziano monaco dell’abbazia benedettina, gli raccontò di quel Ricci, che non potendo firmare il suo lavoro dato che tale privilegio spettava solamente ad artisti riconosciuti, lasciò comunque una sua impronta “visiva” e indelebile.

Un riccio, quindi, scolpito in maniera esemplare ai piedi di San Mauro nell’omonima cappella, appare come un’immagine estranea al contesto e a qualsiasi iconografia biblica ma che riconduce a quel Luigi Ricci il cui scalpello modellò quella pietra dandole la forma tanto ammirata in oltre un secolo e che, per fortuna, hanno resistito anche alle bombe angloamericane che distrussero l’abbazia.

“Di lui avevamo poche notizie e nessuna foto – dichiara Pompeo Ricci – Non sapevamo che faccia avesse dato che morì d’infarto nel 1929 mentre realizzava a Terracina una statua di Enrico Toti. Quando morì, suo figlio, mio padre, aveva appena 14 anni”.

Di lui si persero completamente le tracce ma non quelle nel marmo. Nel 1899, quindi, iniziarono i lavori a dirigere i quali venne chiamato Desiderius Lenz, il monaco benedettino che dirigeva la scuola d’arte dell’abbazia di Beuron (Germania). Lui scelse tra i migliori scalpellini in circolazione tra cui Luigi Ricci e due suoi fratelli minori: i più giovani sgrossavano la pietra e a Luigi toccavano le rifiniture.

“Sia il coretto che le statue di San Placido e di San Mauro nelle rispettive cappelle, furono eseguite da una mano italiana, mio nonno appunto – dichiara Pompeo Ricci – Questa notizia è stata pubblicata in un opuscoletto scritto dal monaco benedettino dom Angelo Pantoni, proprio in uno studio sulla cripta da lui effettuato con perizia di particolari. Nella biblioteca monastica esiste anche un libretto sui lavori, contenente principalmente foto dei personaggi che lavoravano nella cripta. Il libretto è scritto in francese, che riuscii a visionare grazie proprio a dom Angelo Pantoni”.

Da quel libretto anche la grande emozione di poter vedere il volto del nonno.

“Nelle foto ebbi la fortuna di ritrovare la foto di Luigi Ricci mentre, da seduto perché aveva una gamba offesa da giovane, scolpiva la statua di San Mauro. Tale foto è stata per me una grande emozione, perché è l’unica foto di mio nonno. Emozione non solo mia ma anche e soprattutto quella dei miei zii e di mio padre. Quando quest’ultimo la vide disse: ‘E’ is’ che in dialetto cassinate significa ‘E’ lui’”.

Non potendo apporre il proprio nome furbescamente Luigi, a lavori finiti, lasciò la sua firma: un riccio, corrispondente a Ricci e in alto su un angelo scolpì un’allodola, Aloisius in latino Luigi. “Furbizia certamente suggerita da qualche monaco perché mio nonno – spiega Pompeo – era uno scultore, ma purtroppo analfabeta. Sapeva ben ricopiare le scritte, ma non era un letterato”.

Un riccio e una allodola, quindi, che rendono il merito non solo allo scalpellino, ma anche ai tanti artigiani locali, veri e propri artisti rimasti anonimi.

La storia ha occupato due pagine sul settimanale Cronaca Vera (num. 2448)

Ermanno Amedei

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