Albano Laziale – Condanne complessiva a 32 anni e sei mesi di carcere, quelle infeste dal tribunale collegiale di Velletri, per i tre vicini di casa della 28enne di Albano Laziale, la donna che nel luglio del 2018 venne ritrovata agonizzante nella sua casa in via Virgilio, con vari traumi sul corpo e gravi ustioni su schiena e natiche, causate dall’utilizzo di un ferro da stiro rovente. Le indagini svolte dagli agenti della squadra mobile di Roma portarono all’arresto dei tre che vivevano nello stesso palazzo della vittima, con l’accusa di aver indotto la donna alla prostituzione, sfruttandone l’attività e causandole le gravi ferite.
Oggi pomeriggio, dopo cinque ore di camera di Consiglio, il presidente del collegio giudicante, il giudice Laura Matilde Campoli ha letto la sentenza di condanna ad 11 anni ciascuna per madre e figlia, di 58 e 33 anni, mentre il 27enne, all’epoca compagno della figlia, è stato condannato a 10 anni e sei mesi di carcere. I tre imputati, che hanno ascoltato la sentenza in aula, sono rimasti impassibili ad eccezione della 58enne che, invece, non ha retto ed è scoppiata a piangere. Una condanna ben più pesante dei nove anni ciascuno chiesti dalla pubblica accusa sostenuta dal Pm Patroni e che prevede anche una provvisionale di 50 mila euro ciascuno come risarcimento danni alla vittima. La vicenda fece scalpore proprio per gli aspetti turpi e crudeli che la 28enne, bellissima ma probabilmente psicologicamente debole, ha dovuto subire. Nella fase dibattimentale del processo sono emersi dettagli raccapriccianti come l’obbligo a mangiare, quindi ad ingrassare, come punizione se non raggiungeva con la prostituzione le somme prefissate.
“Zio Leo” le dava ordini e le impartiva punizioni attraverso messenger; le diceva con chi prostituirsi e cosa mangiare come punizione per il non essere riuscita a versare sulla post pay la cifra concordata. Il 3 luglio 2018 la ragazza venne trovata agonizzante nella sua abitazione in Via Virgilio.
Le avevano fatto credere che Zio Leo era un pericoloso esponente della ‘Ndrangheta che dalla Calabria le impartiva ordini attraverso la chat. Doveva prostituirsi e versare una cifra pattuita su un conto PostePay, e quando l’accordo non era rispettato la punizione consisteva nel dover recarsi nel bar più vicino per comprare un gran numero di ciambelle con cui rimpinzarsi. Una storia che ormai tiravano avanti da anni, da quando la madre della ragazza era morta e lei era stata soggiogata dai tre. Una ragazza bellissima, con questo sistema, l’avevano trasformata in un oggetto di piacere da vendere. Sempre con la minaccia dello Zio Leo la 28enne aveva iniziato a versare soldi le cui ricevute risalenti al 2016 sono state ritrovate dagli agenti nella sua abitazione. Quando i versamenti non erano sufficienti, impietose arrivavano anche le punizioni corporali e quell’inspiegabile obbligo a mangiare e, quindi, ad ingrassare trasformando una bellissima ragazza in una obesa che sempre con maggiore difficoltà riusciva a procacciare clienti. Ormai completamente soggiogata, implorava ai clienti abituali di servirsi di lei per poter rispettare il patto con “zio Leo” evitando altre punizioni che però arrivarono brutali la notte tra il 2 e il 3 luglio. Trasportata in ospedale inizialmente non raccontò nulla dei tre, ma poi il dirigente della IV Sezione della Squadra Mobile, quella specializzata nei crimini di genere, riuscì a creare un varco in quel muro facendo emergere tutto.
Nel corso della perquisizione domiciliare in casa della vittima gli agenti hanno trovato non solamente le ricevute dei versamenti poste pay che risalivano anche al 2016, ma una pentola d’olio con la quale la ragazza era costretta a cucinarsi “le punizioni” quando non aveva soldi per comprare quello già pronto; rinvenuti anche il ferro da stiro con cui era stata ustionata sui glutei e sulla schiena ed altri oggetti usati per pestarla. A casa dei tre, invece, gli agenti hanno rinvenuto 16mila euro in contanti e tutti gli elementi per stabilire che Zio Leo, in realtà era una utenza falsa e riconducibile alla ragazza vicina di casa e che sempre ad essa era intestato il conto poste pay su cui la 28enne versava i soldi pattuiti.
Ermanno Amedei