Da San Vittore del Lazio fino alla ‘ciurma’ di Daniele Sepe, assieme a Stefano Bollani ed ad altri grandi della musica internazionale. Due musicisti del Cassinate approdano alla corte folle e fertilissima di Daniele Sepe e lo fanno entrando a pieno merito in un ‘dream team’ di virtuosi che danno polpa e vento alla nave dell’ultima fatica discografica auto prodotta dell’artista napoletano, ‘Le nuove avventure di Capitan Capitone’. E’ il terzo capitolo della trilogia con cui Sepe mette d’accordo Salgari e lo Zibaldone usando il pentagramma come nuncio, ed è forse la più completa, anche a fare la tara alla mistica delle trilogie musicali dei concept album. Con lui, in questo ennesimo capitolo di realismo surreale e di grana musicale finissima che corteggia tutti i generi ma non ne impalma nessuno, due musicisti che, con Sepe e la sua band reggimentale di talenti veri, hanno molto in comune. Anzi poco, quanto basta per creare la comunanza vera che non enuncia i punti di tangenza ma che suona la sua armonia e basta; la musica poi è fatta così, del logos se ne fotte e vive solo di maree emotive. I due sono Alessandro Coletta alla chitarra e Fabrizio Musto alla batteria e percussioni.
Entrambi sono originari di San Vittore del Lazio, il piccolo comune frusinate che funge da cerniera geografica e culturale fra Lazio, Campania e Molise. E proprio quell’idea, quasi già segnata, di fucina di contaminazioni che da sempre sta nella terra argillosa e palustre dell’Alta Terra di Lavoro, ha finito con dare marchio e sostanza ai sogni dei due musicisti. Formatisi entrambi negli ambienti delle band autonome di sano grip rocchettaro e che riconoscono nei lamenti belli del blues il loro nume tutelare che figlia riff per tutto il resto, i due non sono mai caduti però in quell’idolatria che troppo spesso porta alla militanza ortodossa, tignosa e corrusca in un solo genere. Aperti alle contaminazioni e dotatissimi, ciascuno per il suo battage, hanno abbracciato negli anni esperienze vastissime e caleidoscopiche: dall’hard rock e Aor dei Mgm e della Mario Star blues band, al blues-funky-soul della Mojo Band ed alla gemma di ‘Uè Man’, esperimento musicale a tre azzeccatissimo, che mette la straordinaria perizia esecutiva e il groove dei due al servizio della grandezza di Pino Daniele, grazie anche all’innesto di una voce tiranna come quella di Mimì Carravano dei Neri per Caso. Non a caso presente anch’egli nel disco di Sepe. Il tutto fino all’esperienza forse più gratificante del loro personale viaggio, quella dei Patrios, gruppo con spiccata vena folk ma non immune da lusinghe quasi celtico-prog che ha già all’attivo una produzione musicale di rilievo. Proprio come Patrios e assieme ai dotatissimi compagni di viaggio Antonello Iannotta e Luca Casbarro, le due ‘guest star’ sanvittoresi hanno sciorinato nel lavoro di Sepe il brano ‘Uaglun e uagliole’, riadattamento di una folk ballad molisana assonante in dispari con la Vallja, la danza corale della comunità Arbeshe, quella degli italo albanesi che a partire dal XV secolo popolarono l’Italia del Sud dopo la morte dell’eroe nazionale Scanderberg e la conquista Ottomana. Ad impreziosire ancora di più il florilegio discografico di Sepe le presenze, oltre che di Carravano, di Stefano Bollani, Fabio Celenza, Valentina Cenna e Mario Insenga, che con Musto e Coletta entrano nel giogo di alchimia assoluta del disco. La coppia di assi sanvittoresi entra così in un vero gotha fatto di mostri talmente sacri da saper riconoscere immediatamente i loro simili, in bravura e follia, la follia che piace da sempre a Sepe. Di Coletta colpiscono la nitidezza dell’esecuzione, il controllo acustico della plettrata e l’agio assoluto nelle melodie di arpeggio diminuito che sono grimaldello delle improvvisazioni, nelle scale cristalline e in un certo vibrato ‘maledetto’ alla Jonny Whinter. Musto è un talento benedetto dai misteri occulti in cui genetica e passione fanno all’amore, spaventoso in divisioni di roll e paradiddle eppure mai solo rigoroso, amico del ritmo come solo quelli che ne conoscono la natura dionisiaca sanno fare, dietro la batteria è semplicemente a casa sua, ne dà l’impressione prima, ne offre la certezza poi. Napoli, la Napoli lisergica e sempre incinta di bello di Sepe è l’epicentro di questo maremoto che fende i marosi del pentragramma, il mondo è l’insieme dei flutti e la ghenga di Capitan Capitone ha arruolato due marinai che conoscono tutte le rotte e che quindi sono pronti a perdersi, come è giusto che accada, con la musica bella, in una gloria che non volevano ma che li ha trovati lo stesso. Come succede non sempre, ma qualche volta, quando la gloria te la meriti davvero.
Monia Lauroni