“Durante la conferenza stampa delle ore 18 di sabato 14 marzo della Protezione Civile, ripresa anche dalla televisione, c’è stata la dichiarazione di un epidemiologo dell’Istituto Superiore di Sanità, che ad alla domanda di un giornalista che chiedeva di spiegare il grande numero di operatori sanitari contagiati da Covid-9, ha risposto “dobbiamo approfondire se in questi casi l’esposizione è avvenuta professionalmente o al di fuori dell’ambiente di lavoro”.
A Padova, solo per citare un esempio, un centinaio tra medici, infermieri e operatori sociosanitari sono in isolamento perché venuti a contatto con soggetti positivi. Ed un pensiero va alla Collega anestesista di soli 35 anni intubata e ricoverata in Rianimazione in gravissime condizioni.
Non è molto più probabile da un punto di vista statistico avere contatti con soggetti positivi durante il nostro lavoro?
Si cerca forse, in prospettiva futura, di mettere in dubbio l’eventuale riconoscimento da parte dell’INAIL?
Suggeriamo all’epidemiologo di tralasciare per qualche ora la lettura delle cartelle cliniche e di andare a buttare un’occhiata a cosa sta realmente accadendo nella prima linea di un pronto soccorso, oppure in un ospedale covid, in maniera da verificare il sovraccarico di lavoro in un contesto difficile e a tratti drammatico, e misurare personalmente sul campo il rischio da esposizione professionale, magari il rischio degli anestesisti in procinto di intubare un paziente positivo.
Mi pongo una domanda da cittadino prima ancora che da medico: è lecito sperare nelle dimissioni?”.
Luciano Cifaldi, segretario generale Cisl Medici Lazio ed orgogliosamente medico.