Il legno, il santo, l’artista ed il fuoco. Andrea Gandini a Novoli
5 Gennaio 2021NOVOLI (LE). Per Andrea Gandini la strada è il luogo della performance artistica, il luogo dove materializza le sue ispirazioni tra il fasciame di quegli avanzi urbani che sono gli alberi scordati e oramai amputati. La scelta è sempre la stessa, attraverso un rituale d’ascesi che parte dalle radici a fior di terra per salire verso i superstiti rami che inconsapevoli, seppur senza foglie, si atteggiano ancora. Gandini inizia così, con le dita sfiora la massa legnosa denudata dalla corteccia e con un’unghia sfibra le prime venature esposte. In questo modo germoglia l’opera d’arte, nella scelta del supporto materico dalla quale sradicarla. Ebbene sì, dal tronco strappa via il superfluo e ne scontorna immagini e momenti. Inizia il dialogo con il mistero della vita che, seppur ferma, ora diventa espressione dell’artista finalmente pronto per età e per carattere a curiosare e far domande. La sua opera nasce a Roma, nella città che senza fine regala tronchi al margine di sanpietrini e foglie croccanti cadute nel silenzio di una assordante marcia umana. Gandini a Roma, come a Novoli, crea il suo palcoscenico su strada e da sfogo alla performance che di per se rende eterno l’effimera funzione di una materia che era destinata all’oblio. La scelta del legno è inconscia, immutabile ed oramai familiare. Sa percepire quel che si nasconde con pudore ed educatamente traccia linee, rimuove e dona forma.
A Novoli è stato invitato per scolpire dal tronco di un ulivo che si trova nella piazza centrale del paese salentino. È gennaio, il mese dedicato dalla devozione popolare novolese a Sant’Antonio Abate, che visse in Egitto tra il III ed il IV secolo dopo Cristo e probabilmente fu il primo a instaurare una vita eremitica e ascetica nel deserto della Tebaide tanto da essere considerato il caposcuola del Monachesimo. Una leggenda popolare, che collega i suoi attributi iconografici, narra che sant’Antonio si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo. Mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone a forma di “tau” e lo portò fuori insieme al maialino recuperato: donò il fuoco all’umanità, accendendo una catasta di legna. Non a caso a Novoli il segno più evidente della religiosità popolare e devozionale è la Focara, monumentale falò di fascine di vite, le sarmente, che vengono accese il 16 gennaio. Il fuoco dunque ed il legno sono nella simbologia del Santo e del paese. E ancora, il legno è la sola materia percorsa e assecondata nell’opera dell’artista Andrea Gandini. A Novoli, lontano dal brusio di fondo della città, lontano da Roma, la sua azione coniuga gli elementi del mondo agro silvo pastorale, percuote un orizzonte etnografico differente e laicamente associa la figura del Santo all’ulivo. Ora non sono le sarmente di vigna derivanti dalle potature le sole a fornire il legno per il Santo ma, in una ciclica e similare ottica di riutilizzo e trasformazione, ora a Novoli è anche il legno dell’ulivo a trattenere l’icona del Santo. Chiaramente sono eventi che non hanno bisogno di motivazioni da addurre o nuovi percorsi da delineare. Il Salento al limite del primo ventennio degli anni duemila ha purtroppo conosciuto la xylella che ha contribuito alla mutilazione del paesaggio agrario e generato una nuova storia collettiva. Di per sé l’azione di Gandini è un primo passo verso la celebrazione della fase terminale dell’ulivo, rendendolo compagno, fratello e complice di una Santo e della comunità che lo invoca. Non poteva pertanto non scegliere che l’ulivo,e non poteva che accendere un falò differente , alimentato dall’involontaria leggerezza dell’arte.
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
(Foto Dante Sacco)
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