CASSINO. Una risorsa turistica fondamentale per la percezione del paesaggio cassinate, una sosta che, in periodi di affluenza normale di turisti ed escursionisti , lascia spazio alla narrazione di quel patrimonio cassinate e/o cassinese svelato dai paesi della Valle dei Santi, dal monte di Trocchio con il suo castello e dalle emergenze calcaree che conservano i resti di cinte poligonali e di insediamanti pastorali millenari. Un paesaggio antropico adulterato talvolta dalla presenza di pale eoliche o di architetture recenti non ben inserite nel contesto; comunque una terra, ager casinas, Terra Sancti Benedicti ed infine Terra di Lavoro, che trattiene il dono immateriale delle memorie storiche che appartengono all’umanità. L’idea di approcciarsi alla montagna di Cassino, seguendo i percorsi ed i cammini storici e religiosi, è fatto recente che ha comunque generato un flusso ininterroto di appasionati ed esperti che, con fare lento e sostenibile, percorrono i pochi chilometri perseguendo una idea semplice di benessere nella consapevolezza di quanto è semplicemente vicino alla città. Il paesaggio carsico, la macchia mediterranea che si alterna ai terrazzamenti degli uliveti inselvatichiti, le ginestre e la strada antica che ha resistito al bombardamento e ne conserva il lastricato, probabilmente pertinente al restauro Desideriano del secolo XI , che non va toccato ne sostituito. Questo è il contesto, questo è ciò che il versante vallivo del monte di Cassino trattiene e regala. Ma si sa. In ogni storia semplice e piacevole basta poco per danneggiare la narrazione. E’ consuetudine cassinate quella di attardarsi lungo la strada di Montecassino, fermarsi ai tornanti e, magari di sera, leggere l’indecifrabile Y stradale sulla quale il tessuto urbanistico di Cassino si sviluppa. Più su c’è il punto panoramico, una piazzola che di poco allarga una curva appoggiandosi alle mura megalitiche che dall’abbazia scendono alla borgata Crocifisso, cingono la città romana di Casinum per poi risalire, qui in miseri resti, dal versante meridionale del vallone di San Silvestro. In questa piazzola in sostanza ci si ferma, soprattutto dal tramonto, per corrispondenza di amorosi sensi, goliardate e zingarate tra amici o per solinghi pensieri. Tutti, noi cassinati, siam saliti ai tornanti e tutti abbiamo condiviso compagnie e bevute. Un atto di identità comunitaria del quale andare fieri che rientra tra le poche “tradizioni” locali da reiterare. Ma non tutti hanno il dono della civiltà, non tutti comprendono il mistero del sacchetto da riportare indietro. Una parte, cospicua considerando le foto allegate, lascia sull’asfalto o lancia tra i rovi e cespugli di mirto e ginestra ciò che resta delle serate. Bottiglie di birra, prosecco, vino, vodka e cartoni di cibo d’asporto e da sporco. E così, con la semplicità della salita si sporca e si inquina. Non si pensa, si è infantili nelle azioni ed incivili per sgiagurata consuetudine. Tanto già è sporco, sembran dire mentre lanciano i rifiuti nel Parco Regionale Monumento Naturale di Montecassino. E le parole potrebbero esser tante ma è meglio fermarsi. Sperando nella virtuosa forza del sacchetto per i rifiuti, nel prossimo gesto che non deve essere lanciare bensì raccogliere. Per educazione e per quel senso d’appartenenza che dovrebbe portar chiunque ad essere parte di un tutto più consapevole e di gran lunga più pulito di quanto non lo sia adesso. Sensa smetter di far nottata nella montagna e di sognare, traguardando la valle e la città addormentata.