“Metà paese non c’è più. C’è gente sotto le macerie. Le strade di accesso al paese sono bloccate e serve liberarle per permettere ai soccorritori di arrivare in centro. Siamo anche senza elettricità e al buio. Ci sono crolli e ho disposto che la popolazione si raduni presso gli impianti sportivi”.
Con queste poche dichiarazioni rilasciate ai primi giornalisti che lo raggiunsero telefonicamente alle 5 del 24 agosto 2016, l’allora sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, raccontò di una cittadina che non c’era più, distrutta, alle 3:36, da una forte scossa di terremoto di magnitudo 6,2.
Una devastazione che, a causa di quella scossa e delle numerose violenti repliche che ne seguirono, toccò tutto il centro Italia. A farne le spese nel Lazio, oltre ad Amatrice in cui si contarono 237 vittime, fu Accumuli dove i morti furono 11.
Le 51 vittime marchigiane ad Arcuata del Tronto, fissarono il bilancio di quella drammatica notte a 299 morti oltre a migliaia di feriti.
A sei anni esatti dalla catastrofe i ricordi sono ancora vivi e dolorosi. “Amatrice è distrutta – raccontò un testimone ai primi giornalisti che arrivarono sul posto alle prime luci dell’alba– è crollato anche l’albergo Roma che ieri era pieno di turisti perché c’era la festa di Amatrice. Ballava tutto si sono aperte le pareti ed è crollato il pavimento. La mia vicina di casa siamo andati a riprenderla al piano di sotto”.
Ed infatti a favorire il disastro è stato, non solo la potenza del sisma, ma anche il tempismo con cui si è scatenato. Ad Amatrice, nella sera tra il 23 e il 24 agosto, c’era una delle feste che richiamavano nel centro reatino migliaia di persone tra turisti e amatriciani residenti altrove. Le case vacanze e le strutture ricettive erano al massimo della capienza. “Non abbiamo più neanche le lacrime per piangete” diceva quella mattina davanti ai resti della sua chiesa il parroco di Amatrice don Sabino D’Amelio.
I residenti scampati ai crolli ma comunque feriti, dopo essere stati medicati in uno dei due centri di emergenza sanitaria allestiti uno di fronte all’ospedale rapidamente evacuato perché pericolante, l’altro nel campo sportivo, tornavano alle macerie delle loro abitazioni per scavare sapendo che i familiari erano ancora sotto i detriti. Tutti scavavano; c’erano tutte le divise delle forze dell’ordine: carabinieri, poliziotti, finanzieri, ma anche gente in maniche di camicia.
Tra loro anche il questore Filippo Santarelli, che in quel periodo dirigeva la questura di Frosinone. Il figlio Marco, quella sera, era nella loro casa ad Amatrice insieme ad alcuni amici. Il ragazzo cercò riparo sotto la trave sbaglia. Il padre scavò per ore tra le macerie, rimuovendo calcinacci e pezzi di mobilio fino a recuperare il corpo del figlio. Il tam-tam sui social, anche se in piena notte, ha permesso di superare i limiti delle comunicazioni tradizionali via cavo abbattute dal sisma. Pochi minuti dopo la devastazione, la notizia era già diffusa attraverso migliaia di post e ciò ha permesso di accelerare le operazioni di soccorso.
Già prima che sorgesse il sole, le colonne mobili della protezione civile erano in marcia da diverse province. La prima luce dell’alba restituiva una immagine spettrale del bellissimo borgo reatino “sbriciolato” dalla forza del terremoto. Tra le immagini e le sensazioni più dolorose che i cronisti, mantenuti a distanza dalle zone di scavo, ricorderanno c’è sicuramente quella che suscitò la gioia nel vedere un carabiniere impolverato portare in braccio il corpo di un bambino parzialmente coperto da un lenzuolo. Tutti applaudirono felici pensando al buon esito dell’intervento di salvataggio; le lacrime del militare fece capire che così non era, e che quel bambino era stato purtroppo estratto morto dalle macerie.
“Ricordo tutto; sono cose che non cancellerò mai dalla mente che faranno parte del bagaglio di ogni cittadino di questa terra”.
Lo ha detto Sergio Pirozzi, oggi consigliere regionale ma all’epoca sindaco di Amatrice ricordando la notte del sisma. “La dimensione del disastro è stato immediatamente chiara. Abitavo vicino a porta Carbonara risalente al 1400. Quella struttura aveva resistito anche al terremoto de L’aquila. Quando sono uscito di casa, non c’era luce ma la luna piena illuminava a giorno e di quella porta c’era solamente polvere. All’ingresso del corso era tutto distrutto. Poi alle 4:15 è arrivata la prima squadra di vigili del fuoco da Posta. Il loro faro ha illuminato alcune delle strutture lesionate dalle quali uscivano le urla di paura della gente rimasta imprigionata. Mentre ci si preparava ad intervenire, alle 4:30 è arrivata la seconda scossa che ha fatto cadere quello che era rimasto in piedi. Le urla cessarono. A mio avviso è stata quella la scossa che ha ucciso più persone”.
C’erano da prendere decisioni e fare cose.
“Feci interrompere la linea del metano, feci portare le taniche di nafta per alimentare i generatori con cui illuminare l’elisuperfice che da lì a poco avrebbe cominciato il via vai degli elicotteri per portare feriti negli ospedali attrezzati di Roma e L’aquila”.
Cos’è adesso Amatrice?
“Amatrice – dice anche Pirozzi – non è rinata. Non è mai morta perché è rimasto lo zoccolo duro della comunità; però quello che abbiamo, il campo e gli impianti sportivi, il cinema teatro, i centri anziani, la scuola elementare, anche la sede della proloco, sono opere realizzate con le donazioni degli italiani e ricostruite da comune e commissario straordinario nella fase emergenziale, quindi a due o tre anni dal sisma”.
Pirozzi ricorda tutti i principali sostenitori di Amatrice.
“Sei milioni di euro da Angela Merkel per l’ospedale che sarà pronto nel 2023; oppure i sette milioni di euro per realizzare la scuola donati da Sergio Marchionne, quando era amministratore della Ferrati. La scuola porta il suo nome”.
Ricorda anche con commozione la grande mobilitazione a livello mondiale che c’è stata per sostenere Amatrice, patria della pasta all’amatriciana.
“Ricordo i 100 euro arrivati dal Nepal, oppure i 70 dalla Sierra Leone. Conservo con affetto il bastone contro i malefici e gli spiriti maligni che mi inviò uno stregone del Burkina Faso. Una catena di ristoranti giapponese, invece, organizzò in Giappone la settimana della pasta alla amatriciana raccogliendo un milione di euro. Tutti momenti successivi al terremoto che sono ricordati in un sito internet realizzato qualche mese fa, www.amatricericorda.it”.
Aiuti arrivati da ogni angolo del mondo, quindi, serviti per realizzare strutture.
“Superati gli anni dell’emergenza e del commissariamento, – continua Pirozzi – non è stata realizzata più nessuna opera pubblica. Basti pensare all’istituto alberghiero che non è andato oltre la posa della prima pietra avvenuto lo scorso anno. La Regione Lazio ha dovuto anche rifare una nuova gara. Delle circa 3500 unità abitative distrutte o danneggiate, ne sono state realizzate un centinaio.
Serve – conclude Pirozzi – un nuovo modello per gestire le ricostruzioni dopo i disastri”.
Er. Amedei