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Tutti e quattro hanno ucciso Willy, ma Belleggia ha determinato la lite

Frosinone – Tutti hanno agito “assumendosi il rischio che Willy potesse morire” ma senza il pugno dato da Belleggia a Zurma “non si sarebbe determinata la lite”. Le motivazioni della sentenza per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il 21enne di Paliano ucciso a Colleferro il 6 settembre 2020, spiegano con coerenza i motivi per i quali, la corte d’assise di Frosinone, il 4 luglio ha condannato all’ergastolo i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, a 23 anni Francesco Belleggia, a 21 anni Mario Pincarelli.

I quattro, tutti di Artena, sono stati arrestati il giorno dopo l’omicidio; i Bianchi e Pincarelli, sono da allora in carcere. A Belleggia sono stati concessi i domiciliari.

Secondo la ricostruzione dei fatti, Belleggia, mentre era insieme a Pincarelli quella sera in via Bruno Buozzi a Colleferro, litigò con un gruppo di giovani. Altri ragazzi di Artena, pensando che le cose si mettessero male per i due, chiamarono i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, esperti “picchiatori” e praticanti di Mma, uno sport da combattimento particolarmente violento. I due arrivarono sulla piazza e cominciarono a picchiare chiunque, in particolare Willy, un giovane italo capoverdiano che, quella sera, dopo il lavoro, si era concesso alcune ore di svago in compagnia degli amici.

Willy, pestato a sangue, è morto alcune ore dopo. Il calcio frontale “inferto al petto” di Willy “da Gabriele Bianchi, sia ricorrendo a tecniche d’arti marziali che consentono di caricare il colpo che sfruttando come leva un cartello della segnaletica stradale, è inequivocabilmente indicativo del dolo omicidiario”.

E’ quanto si legge nella motivazioni della sentenza della corte d’assise di Frosinone. Seppure in maniera meno incisiva, la Corte descrive in maniera pesante anche la posizione del fratello Marco. Quella sera a Colleferro, “plurimi e convergenti elementi dimostrano che Bianchi Marco era presente nel gruppo di persone che linciavano Willy e che egli prendeva un ruolo attivo ad esso colpendo il povero ragazzo con calci e pugni”. Belleggia, secondo la Corte, “è responsabile di aver creato il clima di tensione fra i due gruppi di giovani nell’ambito del quale si è infine prodotto il pestaggio del povero Willy. Certo, il pugno da egli inferto allo Zurma” il ragazzo con cui ha litigato prima dell’arrivo dei Bianchi, “dopo che la discussione con il Rosati era ormai sopita, non ha efficienza causale alcuna sotto il profilo giuridico, rispetto alla morte di Willy. Ma dall’analisi del succedersi degli accadimenti emerge, indubbiamente, che senza quel pugno non si sarebbe determinata la lite che ha avuto l’esito che si sta ora ricostruendo”.

Ma non solo, Belleggia “fattosi forte della presenza di due fratelli Bianchi –scrive il giudice- , dismetteva il ruolo meramente difensivo che sino ad allora aveva assunto ed usava anch’egli la violenza e sicuramente la usava contro Willy”. Nel corso del processo l’imputato Mario Pincarelli ha sostenuto che la sera del pestaggio a Colleferro era talmente ubriaco da non reggersi in piedi e di essere caduto sul copro di Willy. Pensando che fosse stato lui a spingerlo, gli avrebbe dato “due pizze”.

“Resta escluso – scrive il giudice – che egli fosse in quel momento tanto ubriaco da non rendersi conto del corpo del povero Willy in terra e da avere bisogno di aiuto per alzarsi. E, del resto, i testi che hanno registrato la sua presenza fra coloro che colpivano Willy non descrivono una persona poco lucida e barcollante. Tanto vero che egli era stato sino ad allora a discutere con presenza di forze e lucidità di mente, contro i membri del gruppo Zurma” con cui aveva litigato Francesco Belleggia. Ma la corte d’assise sembra pienamente convinta della piena responsabilità di tutti e 4 i giovani di Artena nell’uccidere Willy. “L’azione ha avuto inizio con un colpo proibito sferrato con estrema violenza in parte vitale del corpo ad opera di soggetto molto forte e molto esperto di tecniche di combattimento. E come tale azione gli altri abbiano aderito muovendosi in modo sinergico formando quella che si è definita una falange, falange che andava poi ad impattare contro il Povero Willy che da tutti gli imputati veniva fatto oggetto di violentissimi colpi del pari impressi contro distretti vitali e sferrati finanche quando il povero ragazzo era ormai esanime”. Aggiunge inoltre “i mezzi impiegati (calci e pugni portati da soggetti giovani e forti), i distretti corporei attinti, tutti vitali, la gravità sia complessiva che delle singole lesioni, la violenza dei colpi, inducono inequivocabilmente a ritenere che tutti abbiano accettato il rischio che Willy morisse”.

Ermanno Amedei

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