NEL GIARDINO DELLA MEMORIA. Mostra collettiva degli ex alunni dell’Istituto Statale d’Arte “G. Pellegrino” di Lecce
20 Marzo 2024ARNESANO. (Lecce). Potremmo definire così la “mostra” che si inaugura venerdì 22 nel Palazzo Marchesale di Arnesano, prendendo a prestito il titolo del contributo di Ilderosa Laudisa al volume (a cura di Salvatore Luperto, Lecce 2007), I Maestri dell’Istituto d’Arte di Lecce (1951-1970), nel quale l’autrice ricorda, con accenti accorati e nostalgici, gli anni vissuti nell’Istituto in qualità di docente di Storia dell’Arte, dal 1978 ai primi anni ’80, prima di ricoprire prestigiosi incarichi a Lecce e in Italia.
La mostra è stata ideata, fortemente voluta e organizzata da Aniello Lezzi e Claudio Scardino, ex alunni e poi docente nell’Istituto il primo, docente-artista il secondo. Sono rappresentati gli indirizzi tradizionali dell’Istituto d’Arte (ceramica, pittura, scultura, arte dei metalli con le sottosezioni sbalzo e oreficeria, arte del legno e intarsio, disegnatori di architettura e arredamento) attraverso le oltre ottanta opere di ex allievi dell’Istituto, alcuni dei quali, poi, affermatisi come artisti prestigiosi anche in campo nazionale o ritornati come docenti in quella stessa scuola nella quale avevano studiato. Insieme a loro, i curatori hanno dato spazio a tanti ex alunni, che hanno intrapreso percorsi lavorativi diversi, pur continuando a coltivare la passione per l’arte per puro diletto e per soddisfazione personale. La mostra, infine, accoglie i lavori di artisti originari di Arnesano e di ex alunni del Liceo Artistico, alcuni dei quali transitati, poi, come docenti nell’Istituto d’Arte.
L’idea iniziale di Aniello Lezzi e di Claudio Scardino mirava a coinvolgere nell’iniziativa un numero ristretto di amici ex allievi dell’Istituto d’Arte, per i quali la mostra sarebbe stata l’occasione per rivedersi, riprendere rapporti di amicizia affievolitisi con gli anni, ritornare, senza struggimenti nostalgici o malinconici, in quel “giardino della memoria” nel quale avevano trascorso da studenti gli anni della prima giovinezza. La crescente, inaspettata richiesta di adesione e di partecipazione ha costretto i curatori a limitare il numero di opere in esposizione per ovvi motivi di organizzazione e di disponibilità degli spazi espositivi e sicuramente li porterà a prendere in considerazione l’idea di riproporre l’iniziativa e dare il giusto rilievo a tante altre opere degne di attenzione e di apprezzamento. Le opere esposte, comunque, pur nella inevitabile varietà di stili, tecniche, temi ed esiti artistici che le caratterizzano, raccontano settant’anni di storia dell’Istituto d’Arte a partire dagli anni ’40 del secolo scorso. Una storia scritta da tante generazioni di alunni, che diviene, poi, storia di percorsi di vita, di scelte, di aspirazioni, di successi, ma anche e semplicemente di passione per l’arte e per la creatività. Anche per questo non desta meraviglia scoprire opere di alunni, poi artisti affermati in campo nazionale e internazionale o apprezzati docenti (e artigiani-artisti) di discipline artistiche nelle scuole superiori e nelle Accademie di Belle Arti, accanto a lavori realizzati da chi ha seguito strade diverse o da chi, nel caso dei più giovani, sta costruendo il suo futuro.
C’è, poi, un altro aspetto che occorre sottolineare. La mostra, per il numero e il valore artistico delle opere esposte, riveste un significato, che va aldilà dell’idea originaria dei curatori e diviene la dimostrazione del valore di un’istituzione scolastica in cui il “fare” è frutto del “sapere”, di un percorso conoscitivo-progettuale, del possesso delle tecniche realizzative, oltre che del “talento creativo” (per usare un’espressione del Maestro del Ferro battuto Antonio D’Andrea). Gli Istituti d’Arte, purtroppo, hanno subito gli effetti più devastanti della loro trasformazione in Licei, prevista dalla legge 240/210, la cosiddetta riforma Gelmini, dal nome del ministro da tutti ricordato non tanto per le sue iniziative legislative, quanto perché convinta dell’esistenza di un tunnel scavato tra l’Abruzzo e Ginevra, per far correre felici e contenti i neutrini. Quella riforma ha snaturato gli Istituti d’Arte, poiché ha ridotto o sminuito le ore di laboratorio e ha sviluppato, invece, gli insegnamenti teorici che, nella loro genericità, si affiancano come inutili repliche impoverite a quelli di licei classici e scientifici, per riprendere la denuncia di Franca Falletti, funzionaria della Soprintendenza e già direttrice della Galleria dell’Accademia a Firenze.
È opportuno ricordare, comunque, che l’Istituto d’Arte ha avuto un ruolo di rilievo nel panorama culturale di Lecce, sin dal primo dopoguerra. Tanti gli artisti, gli artisti-artigiani, i docenti protagonisti di dibattiti, mostre, iniziative editoriali o autori di opere che adornano edifici pubblici e privati, chiese, cappelle gentilizie nel cimitero monumentale di Lecce e in quelli del Salento. E tanti gli intellettuali che a mostre e dibattiti diedero il loro contributo: Vittorio Bodini (poi docente di Storia dell’Arte per un anno scolastico), Vittorio Pagano, Luciano De Rosa, Oreste Macrì, Giovanni Bernardini (anche lui docente di Italiano dal 1946 al 1949), Ilderosa Laudisa solo per fare qualche nome. L’Istituto d’Arte “G. Pellegrino”, sorto come Regia Scuola Artistica Industriale, poi divenuto Scuola di arte applicata all’industria e, infine dal 1950-51, Istituto d’Arte, pertanto, racchiude nella sua più che centenaria attività, un patrimonio di inestimabile valore artistico e culturale, al quale la mostra dà voce e vita, riaprendo quel giardino della memoria, chiuso da scelte di politica scolastica insipienti e scioccamente ambiziose. Merito non di poco conto, tra gli altri, da riconoscere all’iniziativa degli organizzatori.
Tonio Solazzo
(Foto nel testo di Dante Sacco)