Roma – Anche secondo la Corte d’assise d’appello di Roma, non sono stati i Mottola ad uccidere Serena Mollicone nella caserma di Arce. I giudici di secondo grado, infatti hanno confermato la sentenza di assoluzione già pronunciata dalla Corte d’assise di Cassino per Franco Mottola, maresciallo dei carabinieri che, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Arce, il figlio Marco e la moglie Annamaria.
A distanza di 23 anni, quando il corpo della ragazza venne trovato in un boschetto, l’unica certezza che resta è che la 18enne è stata uccisa: resta il mistero su chi le abbia tolto la vita e perché. Serena aveva 18 anni quando il suo corpo venne trovato imbavagliato e legato manie e piedi dietro la schiena in un bosco in zona Fontana Cupa località Anitrella nel comune di San Giovanni Campano, ad alcune decine di chilometri da Arce dove la ragazza abitava con il padre Guglielmo e la sorella Consuelo.
La studentessa era scomparsa il primo giugno quando sarebbe dovuta andare a scuola a Sora dove nessuno la vide arrivare. A centinaia la cercarono per tre giorni e a coordinare le ricerche fu proprio il comandante della stazione dei carabinieri: il maresciallo Franco Mottola. Tre giorni dopo la scomparsa il corpo venne ritrovato senza vita.
L’autopsia, eseguita dalla dottoressa Antonella Conticelli, stabilirà che ad uccidere la 18enne, non fu il colpo che le era stato inflitto sull’arcata sopracciliare sinistra, quanto il soffocamento dovuto al sacchetto di plastica che le era stato messo in testa, e stretto al collo, credendola morta.
Il primo a finire sotto la lente degli investigatori e sotto processo, fu un carrozziere di Arce, Carmine Belli, assolto anche in terzo grado di giudizio. Una vicenda che sembrava ormai destinata all’oblio ma dieci anni dopo, grazie all’insistenza del padre della vittima, Guglielmo Mollicone, venne aperto una nuovo indagine alimentata anche dalle dichiarazioni del brigadiere Santino Tuzi che, all’epoca dei fatti, prestava servizio nella caserma di Arce e svolgeva il ruolo di piantone del presidio militare.
Tuzi sostenne, a fasi alterne prima di morire suicida, che dieci anni prima aveva visto la ragazza, o comunque una che le somigliava, entrare in caserma la mattina della scomparsa e terminare il suo turno di lavoro senza vederla uscire. Si arrivò quindi all’alloggio della famiglia Mottola e in particolare ad un segno sulla porta del locale di fianco. Gli investigatori ricondurranno quel segno, con la ferita trovata sull’occhio sinistro della ragazza, ipotizzando che Serena era stata scagliata con forza contro la porta durante una lite, verosimilmente, da Franco Mottola e poi creduta morta. Dopo diversi rischi di chiusura e archiviazioni delle indagini svolte dalla procura di Cassino, si è arrivati ad un rinvio a Giudizio e a un nuovo processo che vedeva i Mottola imputati per concorso in omicidio.
Guglielmo Mollicone è morto, ucciso da un malore, poco prima che iniziasse il processo in primo grado che vedeva come imputati anche i due carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Tutti assolti a Cassino e, assolti anche oggi in Appello a Roma nonostante la procura generale avesse sollecitato una pena a 24 anni per Franco Mottola e a 22 anni ciascuno per la moglie e il figlio.
Le decisioni di un tribunale, “anche se non sono d’accordo, le rispetto comunque”. Lo ha detto Antonio Mollicone lo zio di Serena poco dopo la lettura della sentenza. “A nome mio e della mia famiglia dico che sentiamo il diritto e il dovere di continuare a cercare la verità per dare giustizia a Serena. La società che non cerca verità e giustizia si demolisce da sé”.
La giustizia italiana “ha due caratteristiche: è lunga ma alla fine arriva”. Lo ha detto invece l’avvocato Francesco Germani legale della difesa della famiglia Mottola. “Siamo soddisfatti – ha aggiunto Germani – nella misura in cui eravamo convinti della innocenza dei Mottola. Non si può fare un processo senza movente e senza prove. Oggi abbiamo appreso”, nel corso della requisitoria della procura generale “che non è così. La procura, infatti, si è detta sicura che Serena è morta nell’alloggio dei Mottola ma di non sapere perché sia stata uccisa”. La Corte d’appello, quindi, conferma la sentenza della corte d’assise di Cassino. “Due corti imparziali hanno ristabilito la verità – ha anche detto Germani -. I Mottola sono nel tritacarne mediatico dal 2011 quando vennero indagati per la prima volta. Mi ha sempre stupito la loro serenità e tranquillità nonostante avessero questa spada di Damocle sulla testa”.
Ermanno Amedei
Foto Antonio Nardelli – Sopralluogo di Franco Mottola Alla Caserma di Arce