Lazio – Le carceri laziali sono vere e proprie pentole a pressione e non passa ormai giorno senza una notizia che parli di aggressioni tra detenuti o agli agenti della polizia penitenziaria o peggio, vere e proprie rivolte durante le quali, intere aree carcerarie sfuggono al controllo dell’istituzione rimanendo per ore nell’anarchia dei rivoltosi con tutto ciò che ne consegue. I sindacati di polizia penitenziaria chiedono il “pugno duro” verso i violenti e il taser in dotazione agli agenti. Il garante dei detenuti, invece, invoca l’indulto.
Quello di ieri a Regina Coeli, è stato solo l’ultimo episodio di una lista che ormai raccoglie i nomi di tutti gli istituti di pena del Lazio. Come spesso accade, anche ieri sera, i primi ad accorgersi che qualcosa stava accadendo nel carcere sono stati gli abitanti della zona. Poco prima delle 20 sono cominciate ad arrivare segnalazioni alla questura di Roma.
Inizialmente sembrava fosse una semplice protesta di alcune decine di detenuti ma che non sembrava essere preoccupante. Il settore interessato, fin da subito, è stata l’VIII sezione, quella in cui ci sono i detenuti per reati sessuali o comunque “protetti” dagli altri detenuti. Ma alle 22:30 circa l’intera sezione era fuori controllo con gli agenti della penitenziaria all’esterno che tentavano una mediazione con i circa 120 rivoltosi. All’interno incendi e devastazioni di tutti gli ambienti.
Ma la rivolta ha avuto conseguenze anche per l’esterno del carcere. In tre, infatti, sono saliti sul tetto staccando tegole che lanciavano sulle strade sottostanti esterne all’istituto di pena. La polizia, che già presidiava il perimetro del carcere per scongiurare eventuali evasioni, ha dovuto chiudere al traffico alcune strade di Trastevere.
Nel frattempo all’interno era l’inferno: materassi e lenzuola dati alle fiamme e arredi distrutti. L’intera ala devastata con le porte delle celle danneggiate tanto che molte non potevano essere chiuse. Dopo la mezzanotte, quando il clima si è rasserenato e la polizia penitenziaria ha ripreso il controllo della VIII Sezione, alcuni cancelli sono stati chiusi con catene e lucchetti dato che le serrature non erano funzionanti.
Solo l’ultimo episodio, dicevamo, dato che disordini ci sono stati in ordine sparso in tutti gli istituti di pena del Lazio. Tra i più violenti nel carcere di Velletri il 28 luglio dove con il fuoco è stato reso inagibile il reparto D. L’ordine è stato ristabilito dopo l’irruzione delle forze dell’ordine in assetto antisommossa.
Poco prima, il 10 luglio, era toccato al carcere di Viterbo dove la morte di un detenuto in cella è stata la miccia di una violenta rivolta durata diverse ore. A maggio era toccato a Civitavecchia, mentre a inizio settembre a Cassino e Frosinone. Non fa eccezione il carcere minorile di Casal del Marmo dove sono capitate anche evasioni. Critici, nei confronti dei violenti, ma anche delle istituzioni che non ascoltano i messaggi di allarme, i sindacati degli agenti della polizia penitenziaria. Il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), ritiene quella di ieri sera il frutto di “una situazione esplosiva che era nota ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria nazionale e regionale ma rispetto alla quale nessun provvedimento è stato assunto”, denuncia Maurizio Somma, segretario per il Lazio del Sappe. La situazione nota di cui il sindacalista parla è legata al sovraffollamento della popolazione carceraria, alla scarsità di personale della penitenziaria e ad una mancanza di polso da parte delle istituzioni nel punire i violenti.
“Servono poliziotti e regole d’ingaggio chiare, tecnologia e formazione per chi sta in prima linea nelle Sezioni, strumenti di difesa e contrasto delle violenze” dice Donato Capece, segretario generale del Sappe.
“Bisogna applicare ai violenti l’arresto per i detenuti che aggrediscono poliziotti penitenziari, il carcere duro con isolamento fino a 6 mesi (articolo 14 bis dell’Ordinamento penitenziario) ed il trasferimento immediato in particolari sezioni detentive a centinaia di chilometri dalla propria residenza, come prevede il successivo articolo 32 del Regolamento”. Inoltre Capece ritiene necessaria “l’espulsione dei detenuti stranieri e la riapertura degli ospedali psichiatrici giudiziari”. Gli agenti della penitenziaria, invece, andrebbero dotati “del taser, che potrebbe essere lo strumento utile in chiave anti aggressione”.
Di altro parere è la garante dei detenuti di Roma, Valentina Calderone. “Per noi l’unica modalità è prendere degli urgenti provvedimenti della popolazione detenuta. Arrivati a questo punto, un provvedimento di indulto e amnistia è l’unica cosa sensata dalla quale poi si può ripartire per fare anche una serie di cose strutturali che hanno a che fare con il lavoro e la formazione. Tutti progetti interessanti che però non possono essere svolti nella condizione attuale”.
Ermanno Amedei