CASSINO – Una data importante, quella odierna, ricorre infatti, la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Un momento fondamentale, un riconoscimento mondiale, indetta dalle Nazioni Unite nel 1981 con il preciso obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’inclusione di quelle persone, o meglio di quella parte dell’umanità con disabilità.
C’è ancora molto da fare, si dice spesso, ed è verissimo. Uno slogan che sa più di una frase fatta, un mantra da rievocare ad ogni celebrazione, ad ogni appuntamento che abbia ad oggetto il tema della disabilità nel mondo, in Italia e nelle realtà locali come Cassino.
Proprio nella Città Martire si possono vedere quelle che sono le difficoltà con cui le persone con disabilità devono fare i conti quotidianamente e che risulta ormai non soltanto superfluo ricordare, ma ancora irrisolti e ancora troppo presenti girando per le vie cittadine. Una serie di difficoltà da decenni lì, senza soluzione definitiva, una volta per tutte. Inutili i toni, quasi trionfalistici su un “bilancio positivo” attribuito al lavoro della Consulta comunale per i Diritti delle Persone con Disabilità. È indubbio che la Consulta rappresenti un passo in avanti alla soluzione dei problemi delle persone disabili, nessuno lo nega, ne va dato merito all’amministrazione Salera che l’abbia voluta. Non si può, però negare ed evidenziare l’anomalia con cui è stata realizzata, con cui sono nominati gli organi dirigenti, lo statuto che ne regola il funzionamento che la fanno sembrare più un’appendice, una parte della macchina dell’Amministrazione, invece di un organo autonomo che possa prendere decisioni sulle materie della disabilità in modo incisivo e non semplicemente propositivo. Da qui a parlare, che negli oltre due anni di attività, la Consulta abbia raggiunto un “bilancio positivo” ce ne vuole, vuol dire non voler guardare la realtà dei fatti e la situazione in cui la Città versa in tema di criticità legate alla disabilità.
Vogliamo fare qualche esempio pratico per capire bene di cosa parliamo? Bene, partiamo dall’adozione del PEBA (Piano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche), uno strumento obbligatorio per legge, quindi nulla di nuovo, ed il coinvolgimento delle associazioni iscritte alla Consulta, quasi fosse una benevola concessione. Nelle riunioni della Consulta in cui si è parlato del PEBA sono state proposte soluzioni di collaborazione a fornire opinioni sulle criticità cittadine per i disabili, tutt’altro che pratiche e fattibili, anzi se proprio vogliamo dirla tutta, campate in aria. Mi riferisco alla compilazione delle “famose schede” sulle criticità cittadine preparate da fornire al progettista e che i disabili avrebbero dovuto compilare ogni volta che si muovevano in città. Le perplessità e l’impossibilità pratica di realizzazione, sollevata da alcune associazioni presenti nella Consulta, si è rivelata giusta tanto da essere accantonata. Due anni e poco più di incontri in cui si è parlato di barriere architettoniche e del loro superamento, in questo “bilancio positivo”?
È vero, ma il risultato? Nulla di concreto, nessun intervento che abbia risolto i problemi dei disabili motorii, isola pedonale in cui non si è rispettata la normativa vigente. Esempi? Basta guardarsi intorno, assenza di percorsi per non vedenti, negozi inaccessibili ai disabili motorii, già sarebbero più che sufficienti a non essere così ottimisti. Una serie di convegni importanti, ma inutili sotto l’aspetto pratico. Momenti, soluzioni e progetti per l’inclusione delle persone disabili nella società attraverso uno strumento fondamentale rappresentato dallo sport. Anche in questo caso un altro flop.
La buona volontà e l’impegno delle associazioni, infatti, ancora una volta di fronte al muro delle barriere architettoniche che ne hanno impedito la realizzazione concreta. Progetti naufragati, o volendo essere ottimisti, rallentati davanti a strutture inadeguate, prive dei più elementari requisiti di utilizzo per le persone disabili, a cominciare dai servizi igienici, tanto per citarne uno. Dalla incapacità delle Amministrazioni di voler superare queste disfunzioni. Si potrebbe continuare guardando le periferie dove la situazione è disastrosa. Parliamo di ‘bilancio positivo’?
In conclusione, è vero che ci sia ancora molto da fare in tema di disabilità. Verissimo, ma a ben guardare le cose da fare sono ancora troppe per dare una vita normale, un’inclusione concreta nella società civile ai disabili, nonostante una legislazione esistente da decenni, all’avanguardia fra i Paesi europei, ma troppo spesso disattesa. Però ci crogiola nei bilanci positivi.
È vero c’è molto, troppo, da fare, magari evitando toni trionfalistici, continuando a ricordarsene non solo il 3 dicembre di ogni anno!