L’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) denuncia disordini sociali legati alla disoccupazione. A rischio anche l’Italia
9 Aprile 2013Da Giovanni D’Agata riceviamo e pubblichiamo.
L’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) denuncia rischi di disordini sociali legati alla disoccupazione. Sono 26 milioni dieci milioni in più che nel 2008. A rischio anche l’Italia
È una piaga che sta raggiungendo dimensioni bibliche. È la disoccupazione che cresce in tutta l’Unione Europea con la conferma che l’Italia con il milione di licenziati nel 2012 è tra i Paesi più grandi quello che annaspa maggiormente nel dramma. Nell’ultimo semestre, infatti, un milione di europei hanno perso il posto di lavoro ed il numero complessivo dei disoccupati ha superato i 26 milioni, ossia 10,2 milioni in più rispetto al 2008 all’inizio della crisi.
Non lo dice un qualsiasi istituto di statistica, ma è l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) a lanciare l’allarme con un preciso riferimento al pericolo concreto dell’aumentato di disordini sociali, anche in Italia, ed esortando misure straordinarie ed urgenti sul mondo del lavoro.
L’Ilo è lapidaria nell’individuare le cause del fenomeno che è peggiorato a causa dell’introduzione di politiche di risanamento di bilancio, unite a misure di austerità che non hanno colpito le cause profonde della crisi tant’è che a confronto di altre macroregioni, l’Ue è quella che ha segnato “l’aggravamento più significativo del rischio di disordini sociali”.
È evidente, quindi, che la disoccupazione ha continuato a crescere nell’Ue e non mostra segni di miglioramento nonostante una pausa nel 2010-2011. Nell’intera aerea solo cinque paesi su 27 (Austria, Germania, Ungheria, Lussemburgo e Malta) hanno visto i tassi di occupazione superare i livelli pre-crisi, mentre gli stati più colpiti come Cipro, Grecia, Portogallo e Spagna hanno visto il tasso di occupazione scendere di oltre il 3 % negli ultimi due anni.
Il Nostro Paese risulta nella graduatoria dei dieci dove la ripresa dell’occupazione è stata insufficiente per raggiungere i livelli pre-crisi.
Nella ricerca, l’Ilo osserva che con oltre 26,3 milioni di europei disoccupati (febbraio 2013), mancano quasi 6 milioni di posti di lavoro per ritrovare il tasso di occupazione anteriore alla crisi.
Ma lo studio segnala anche altri aspetti della questione come la disoccupazione di lunga durata, che “sta diventando un problema strutturale per molti paesi europei”, l’aumento di chi non cerca più lavoro perché definitivamente scoraggiato ed un dato da non dimenticare mai, ossia gli “allarmanti livelli” della disoccupazione giovanile (23,5 %). In 19 Stati dell’Ue – dettaglia lo studio – oltre il 40 % dei senza lavoro sono disoccupati di lunga durata (12 o più mesi).
Ciò che colpisce, sottolinea Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Dirittiâ€, è una delle conclusioni cui giunge l’ILO secondo cui è in aumento anche il rischio di disordini sociali, che stando alle ultime stime è del 12 % in più rispetto a prima dell’inizio della crisi. E tra i paesi che tra il 2010 e il 2012 hanno osservato il rialzo più acuto del rischio di disordini sociali c’e anche l’Italia, insieme a Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Portogallo, Slovenia e Spagna.
Risulta evidente che alla luce di tali dati occorrano misure urgenti e indifferibili che comportino una vera e propria svolta rispetto alle politiche sinora adottate specie per ciò che riguarda la cosiddetta austerity, che per Giovanni D’Agata è anche una sorta di bocciatura dei governi tra cui quello dei tecnici che ha governato l’Italia nell’ultimo anno. In tal senso, infatti, l’ILO sottolinea che “Se gli obiettivi di equilibrio di bilancio e di competitività sono importanti, è fondamentale non affrontarli attraverso misure di austerità e riforme strutturali che non affrontano le cause alla radice della crisi”, occorre, al contrario, “una strategia incentrata sul lavoro in grado di rispondere a obiettivi macroeconomici e di occupazione”. Tra le politiche auspicate: l’accesso al credito per piccole e medie imprese, contrastare la pressione al ribasso sui salari e l’impiego, il dialogo sociale e programmi per l’impiego dei giovani.