“Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi”
8 Luglio 2013Da Ina Camilli del gruppo “Consulta le donne” riceviamo e pubblichiamo
Siamo un Paese fortemente indebitato, che non ha ancora trovato la via per uscire dalla crisi e dare una prospettiva ai giovani, alle donne ed agli anziani; su di loro il costo della crisi economica e del mercato del lavoro ricade in modo da comprometterne il futuro, di cui non si sentono protagonisti.
Negli anni ’50 la crescente mobilità dei ceti sociali ha consentito a quelli meno abbienti di avvalersi dell’ “ascensore sociale”, un processo virtuoso che consentiva ai più tenaci e bravi di superare le modeste condizioni socio-culturali di partenza della famiglia di origine, transitando dalla classe povera a quella medio-borghese.
Oggi gli studenti e i precari soffrono davvero la crisi, si sentono accerchiati, imprigionati, immobilizzati, mentre altre classi sociali, al massimo, la temono; la differenza per i nostri figli non è solo una percezione, è la decisione di restare o partire e comunque di resistere.
In Italia il conseguimento della laurea è ancora condizionato dalle caratteristiche sociali, geografiche (nord-sud), economiche e culturali della famiglia di provenienza, perchè la selezione avviene ancora alla nascita.
Nella nostra recente storia il figlio di operai e contadini, base della piramide sociale, se voleva migliorare la sua condizione di vita poteva puntare sullo studio, sul merito e, attraverso l’impegno personale, realizzava il suo riscatto sociale; il meccanismo dell’ “ascensore” gli garantiva la possibilità di non restare ai nastri di partenza e di affermarsi professionalmente. Questo processo di cambiamento di status e di integrazione tra le diverse classi sociali, accompagnato da una elaborazione culturale, ha prodotto un elevato beneficio per il singolo e per la collettività .
Oggi i dati Ocse ed Eurostat mettono in evidenza che solo il 9% degli universitari proviene da famiglie in cui i genitori non sono laureati, situazione che, in prospettiva, preclude loro l’accesso ai livelli più elevati della società .
Per contro, una elevata percentuale di genitori può trasmettere ai propri figli, insieme al patrimonio ed al reddito, anche la professione e questo si ripercuote sulla mobilità sociale delle giovani generazioni, con effetti negativi per i meno abbienti, perchè crescono le iniquità e la ricchezza non si redistribuisce.
Si può non essere d’accordo, e molti infatti credono che in queste condizioni sia inutile studiare, laurearsi e specializzarsi, ma per le classi deboli l’istruzione, la Scuola, la formazione, l’Università , le competennze, i saperi, sono e restano ancora l’ “ascensore sociale”, moltiplicatore di opportunità . La vera “trappola” per il futuro degli italiani è l’ignoranza e la condizione sociale di provenienza.
Le classi deboli non sono solo quelle che abbiamo conosciuto storicamente; i soggetti deboli sono i giovani, gli studenti, le donne, ma anche i professionisti, i tecnici, gli autonomi, cioè tutti coloro che oggi non si sentono più uomini liberi e che sono diventati precari, sono stati buttati ai margini del mercato del lavoro, espulsi dal mondo produttivo, per mancanza di riqualificazione, per età , per perdità di opportunità , ecc.
Anche la ripresa economica, che presto o tardi ci sarà , verrà sopportata dalle giovani generazioni, perchè, non essendo essi nei fatti una priorità , le misure governative e parlamentari andranno a sostenere altre categorie, altri settori, altri interessi; del resto nessuno pensa ad una vera riforma per rimettere in funzione l’ “ascensore sociale” e farlo ripartire.
Ormai da tempo l’Italia è travagliata da forti malesseri, è aggredita da un male che l’ha indebolita nelle sue fondamentali basi, come il declino e insieme il superamento della classe media, così faticosamente affermatasi nel dopoguerra.
Nonostante il grave stato in cui versa il Paese mancano riforme strutturali per sostenere l’occupazione dei giovani e delle donne e per contrastare l’evasione fiscale; le grandi ricchezze sono sempre più prospere, le ingiustizie sociali e giudiziarie sempre meno sopportabili; il nord sempre più vicino all’Europa e il sud sempre più illegale; la sfiducia si è dilatata al punto che per credere che le cose miglioreranno dobbiamo parlare continuamente di ripresa, di stabilità e di rilancio.
Tutti sappiamo che gli italiani salveranno l’Italia, attraverso la partecipazione ed il senso di responsabilità , perchè abbiamo chiaro che dobbiamo fare affidamento su noi stessi, anche quando la vita ci chiede troppo, oltre le nostre possibilità . Proprio quando gli altri non ci chiedono più nulla, dobbiamo dare di più e credere tenacemente come hanno creduto coloro che, prima di noi, hanno reso il nostro Paese libero e democratico. Oggi “non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi”.